Ecco le nuove norme sul
carcere contenute nel decreto attuativo della riforma Cartabia
Si tratta di
una potente rivoluzione copernicana capace di incidere sul sistema
penitenziario-sanzionatorio nonché sulla stessa fisionomia del giudice penale
di cognizione. Ecco perché
Di Alessandro Parrotta 4 Ottobre 2022

Da sempre il
nostro ordinamento penale e penitenziario è giudicato eccessivamente “carcero-centrico”
e, in effetti, le statistiche di primari Istituti nazionali, sovranazionali
nonché dello stesso Ministero della Giustizia hanno sempre
riportato, negli anni, un dato in continua crescita: le statistiche del
Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria, al 31 dicembre 2021
confermano che i detenuti per pene inflitte in misura inferiore a quattro anni
erano 11.262 su 37.631, pari cioè al 29,9%. In sostanza, quasi un detenuto
ogni tre stava scontando una pena detentiva “breve”. Circostanza, questa,
che non aiuta certo a risolvere uno dei grandi problemi della giustizia penale
nella sua fase esecutiva, ossia il sovraffollamento delle carceri, con tutte le
conseguenze che da questo derivano.
Per i
condannati a pene detentive cd. brevi, infatti, l’ingesso in carcere è
tutt’altro che rieducativo. Vale rammentare, a tal proposito, che da tempo è
diffusa e radicata, anche nel contesto internazionale, l’idea secondo la
quale una detenzione di breve durata comporta costi individuali e sociali
maggiori rispetto ai possibili risultati attesi, sia in termini di
risocializzazione dei condannati che di riduzione dei tassi di recidiva. Quando
la pena detentiva ha una breve durata, rieducare e risocializzare il
condannato (art. 27 Cost.) è obiettivo che può raggiungersi molto
più efficacemente e con maggiori probabilità attraverso pene extra murarie le
quali, eseguendosi nella comunità delle persone libere, escludono o
riducono l’effetto alienante della detenzione negli istituti di pena, relegando
questa al vero e autentico ruolo di extrema ratio.
Da questa
presa di coscienza, l’impegno della Riforma Cartabia e degli schemi di decreto
attuativi di potenziare l’esecuzione penale esterna (già in voga in forza della
sempre maggior applicazione dell’istituto della messa alla prova) attraverso
l’introduzione di vere e proprie pene sostitutive alla detenzione (breve),
nei contenuti, simili alle attuali misure alternative alla detenzione, ma, nei
presupposti, ben differenti. La Riforma infatti intende attribuire al giudice
della cognizione la possibilità di applicare, già a partire dal momento
della condanna, richieste di accesso alle misure alternative senza
necessità di pronunce di ordini di sospensione, né di pronunce di esecuzione
condizionalmente sospesa, le pene sostitutive (eredi delle sanzioni
sostitutive delle pene detentive brevi introdotte più di quarant’anni fa con la
legge 689 del 1981).
Quest’ultime,
ad onor del vero, non hanno mai visto la luce a causa, per così dire,
dell’indiscusso “successo” ottenuto con la sospensione condizionale della pena.
La pressoché irrilevante applicazione delle pene sostitutive di cui all’art. 53
l. n. 689/1981 è testimoniata, emblematicamente, proprio dai dati relativi alla
semidetenzione – che ha interessato nel 2021 solo 11 persone – e alla libertà
controllata – che ha interessato nello stesso anno solo 540 persone. Di qui
la scelta del legislatore delegante di abolire tali sanzioni sostitutive di
introdurre ex novo una disciplina organica.
Il concetto
di pena detentiva “breve” cambia e si allinea, nel giudizio di cognizione, con
quello individuato in sede di esecuzione dall’art. 656, co. 5 c.p.p. per
l’accesso alle misure alternative alla detenzione in costanza di sospensione di
un ordine di esecuzione. Si allinea, così, il limite massimo della pena
sostituibile con quello entro il quale in sede di esecuzione può applicarsi una
misura alternativa alla detenzione.
Questa
scelta comporta, apprezzabilmente, sia il venir meno dell’integrale
sovrapposizione dell’area della pena sospendibile con quella della pena
sostituibile, ai sensi della l. n. 689/1981 (promettendo di rivitalizzare
l’applicazione anche delle pene sostitutive) che la possibilità per il
giudice della cognizione di applicare pene, diverse da quella detentiva,
destinate a essere eseguite immediatamente, dopo la definitività della
condanna, senza essere ‘sostituite’ con misure alternative da parte dei
tribunali di sorveglianza, spesso a distanza di molto tempo dalla condanna
stessa (come testimonia l’allarmante fenomeno dei c.d. liberi sospesi).
In
particolare, con il nuovo art. 20 bis c.p. si prevedrebbero le seguenti pene
sostitutive: la semilibertà sostitutiva; la detenzione domiciliare sostitutiva;
il lavoro di pubblica utilità sostitutivo; la pena pecuniaria sostitutiva. In
particolare, la semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare
sostitutiva verrebbero applicate dal giudice in caso di condanna alla
reclusione o all’arresto non superiori a quattro anni; il lavoro di pubblica
utilità sostitutivo potrebbe essere applicato dal giudice in caso di condanna
alla reclusione o all’arresto non superiori a tre anni; la pena pecuniaria
sostitutiva in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori
a un anno.
Alcuni
commentatori, sul punto, hanno opposto riserve a tale dirompente innovazione
poiché – si argomenta – essendo il giudice della cognizione ad infliggere
direttamente la pena sostitutiva, e non più o non solo più il magistrato di
sorveglianza (sotto forma di misura alternativa), tale meccanismo potrebbe
portare ad una sorta di “miopia di vedute”. Si sostiene, infatti, che, a
differenza del giudice della cognizione, il magistrato di sorveglianza potrebbe
valutare elementi relativi alla persona che il giudice del fatto non conosce.
Se, da un
lato, il dubbio è fondato, dall’altro, ritiene lo scrivente, anche come
possibile soluzione, occorrerà incaricare il giudice della cognizione di
svolgere, egli stesso, già in sede di condanna, in un’ottica certamente
prognostica, una più approfondita indagine sulla personalità dell’imputato,
anche con la formulazione di ipotesi trattamentali dei singoli
condannati.
Ad ogni
modo, come è stato detto, si tratta – condivisibilmente – di una
silenziosa ma potente rivoluzione copernicana portatrice di novità in grado di
incidere, in via organica, sul sistema penitenziario-sanzionatorio nonché sulla
stessa fisionomia del giudice penale di cognizione, il quale ultimo, come è
stato detto, si troverà a dover dismettere gli abiti dello storico dovendo
volgere lo sguardo al futuro delle persone giudicate. (*Avvocato,
direttore Ispeg – Istituto per gli studi politici, economici e giuridici)