mercoledì 14 luglio 2021

TEATRO IN CARCERE

 

 Riprende il teatro di Fabio Cavalli nel carcere di Rebibbia n.c.

Oltre le immagini di Santa Maria Capua Vetere

 

a cura di Maria Sole Lupi

 

Vale la pena spostare per qualche minuto l’attenzione dagli ultimi indecorosi fatti di cronaca che coinvolgono il mondo penitenziario. Il carcere, dovremmo tutti saperlo, non è soltanto quello che si è visto nelle terribili immagini riprese dalle telecamere di video-sorveglianza interne all’istituto di Santa Maria Capua Vetere, ma è molto di più e molto altro sia in termini di criticità e di fragilità sociali che lo abitano e sia in termini di valide opportunità di riscatto sociale che anche la detenzione spesso può offrire.

La “spettacolarizzazione del male” che è stata offerta dai mass media in queste ultime settimane riduce al minimo lo sforzo e l’umanità che ogni persona, sia essa volontaria o professionista dipendente dell’amministrazione penitenziaria, attua ogni giorno al fine del trattamento rieducativo della pena. Sebbene non si possa in alcun modo sottovalutare la situazione e omettere dal dire che quella sia stata realmente tortura – sulla quale gravitano le norme internazionali, l’Art.27 della Costituzione italiana nonché la fattispecie di reato di tortura all’Art. 613 bis del codice penale – tuttavia, è doveroso anche riconoscere quanta poca attenzione viene offerta dai mass media comuni (TV, stampa e social media) a tutte le “buone prassi” di vita penitenziaria nel panorama carcerario italiano e che hanno il volto della dignità e degli alti intenti verso la risocializzazione del condannato.

Una di queste a rimanere sovente fuori dall’esposizione mediatica (tranne importanti rari casi) sono senz’altro i percorsi teatrali che vengono portati avanti con più o meno assiduità all’interno delle carceri italiane dagli anni ’80 del Novecento. Il teatro in carcere, negli ultimi anni, sta diventando sempre più il minimo comun denominatore dell’attività trattamentale dell’esecuzione penale, forti sia del riconoscimento a livello istituzionale (si veda la circolare DAP sulle attività trattamentali) ed anche di un coordinamento nazionale decennale[i].

Venerdì, 2 luglio 2021, alla lezione che si è tenuta al carcere di Rebibbia n.c sul tema “Cultura e Carcere” nell’ VIII edizione del Master “Diritto Penitenziario e Costituzione” dell’Università degli studi Roma Tre, il professore e regista teatrale Fabio Cavalli ha parlato di teatro in carcere come un “teatro etico”, molto più vicino alla tragedia greca che alla commedia e che trae origine dagli scritti di Platone e di Aristotele al riguardo.  Le storie dei miti greci, raccontate attraverso il teatro, sono le storie delle grandi imprese ma anche delle fragilità umane, storie nelle quali molti si rispecchiano. In tal modo, si comprende meglio l’animo umano e purtroppo anche i due lati di una stessa medaglia: il bene ed il male.  Anche nell’era contemporanea, come nell’epoca delle antiche polis, lo spettacolo continua a mantenere la sua “funzione catartica” che nell’uomo induce l’elusione dalla realtà quotidiana, la trasposizione delle proprie vicende di vita nell’eroe e l’immedesimazione con il personaggio e, infine, la purificazione e il rasserenamento. Il potente strumento della catarsi che è proprio dell’attività teatrale, dunque, può accompagnare l’attore detenuto nel suo percorso di rivisitazione della propria esistenza, del proprio essere e dell’accettazione delle proprie fragilità, e conseguentemente alla risocializzazione, di fuoriuscita dal reato e di reinserimento nella società. Le stime riportate dal professor Cavalli, confermate anche dall’osservatorio di Antigone[ii], sull’impatto che le attività culturali, e quindi anche il teatro, hanno nell’abbattimento della recidiva (drasticamente ridotta al 30%) ne sono una chiara prova. In sintesi, si può sostenere che un detenuto che abbia svolto attività culturali in carcere rischia 5 o 6 volte meno di tornarci rispetto al detenuto che non l’abbia svolte. È dunque chiara l’estrema importanza delle attività culturali per il recupero del reo nel suo processo di responsabilizzazione nei confronti del reato. È fuori d’ogni dubbio la finalità didattico-pedagogica del teatro che incide sull’ alta levatura culturale della persona detenuta. 

 

 

Nel pomeriggio di venerdì 2 luglio 2021, nell’Auditorium del Carcere di Rebibbia n.c, si è tenuta la prima prova generale dello spettacolo “Dalla città dolente – colpa, pena e liberazione nelle visioni dell’inferno di Dante” messo in scena dalla compagnia del professore e regista Fabio Cavalli. Una compagnia formata da una ventina di detenuti-attori del Reparto G-12 A.S. che ha già ottenuto numerosi successi nazionali e internazionali anche nella cinematografia (Premio MigrArti alla 73° Mostra del Cinema di Venezia al docu-film Naufragio con spettatore[iii] e vincitori della 62° Edizione del Festival del Cinema di Berlino per il film Cesare deve morire di Paolo e Vittorio Taviani)[iv].  

 


Si è trattato davvero di un evento unico nel suo genere in cui oltre alla straordinaria bravura degli attori si poteva apprezzare la loro umanità, umiltà e desiderio di riscatto aldilà di ogni singola storia, cultura e provenienza geografica. Tanto apprezzata l’emozione degli attori e anche di tutti i presenti, comprese le autorità (il Rettore di Roma Tre Luca Pietromarchi, il garante regionale dei detenuti della Regione Lazio Stefano Anastasia, il Provveditore di Lazio Abruzzo Molise Carmelo Cantone e la Comandante della Polizia Penitenziaria di Rebibbia n.c Alessia Forte), per essere tornati in teatro dopo un anno e mezzo di chiusura delle porte al pubblico. Dulcis in fundo dell’opera la sorpresa finale resa dall’attore detenuto (il più anziano e tra i più bravi della compagnia), il quale ha condiviso con la platea la sua gioia ed emozione per l’ottenimento del primo permesso di cinque giorni a casa con la sua famiglia dopo 20 anni di ininterrotta reclusione. È stato il compimento di una speranza maturata di anno in anno e che si leggeva negli occhi e nei volti di tutto il resto della compagnia, anche loro in attesa del rilascio dei permessi. Rimane impresso, dunque, il ricordo di uno spettacolo teatrale singolare. Noi di Happy Bridge, ci auguriamo che tutte le attività culturali, tra le quali il teatro ovviamente, abbiano sempre più diffusione all’interno delle carceri così come previsto dall’Ordinamento Penitenziario all’Art.15 comma 1 tra gli elementi del trattamento: «Il trattamento del condannato e dell'internato è svolto avvalendosi principalmente dell'istruzione, della formazione professionale, del lavoro, della partecipazione a progetti di pubblica utilità, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno e i rapporti con la famiglia »[v].

Maria Sole Lupi


lunedì 12 luglio 2021

Sostenere e prevenire la detenzione: Intervista al presidente Dott.ssa Maria Teresa Caccavale

 

MILANOFREE.IT

 

 

 

Un’associazione di volontariato che attraverso la promozione di varie attività cerca di creare un ponte tra il carcere ed il mondo esterno per far si che ci siano sempre minori distanze tra il mondo dei cosiddetti “normali” e quello delle fragilità.
Maria Teresa Caccavale, Presidente dell’Associazione Happy Bridge, è stata docente di economia aziendale nel carcere di Rebibbia per 27 anni, ma continua ad occuparsi di istruzione degli adulti ed adulti ristretti sia come Ambasciatrice EPALE (piattaforma elettronica per l’educazione degli adulti), sia attraverso l’Associazione Happy Bridge in collaborazione con diversi Enti del terzo settore(UNIPAX, UNITRE, ecc), sostenendo tutte le iniziative a favore dei diritti umani attraverso attività culturali e formative.
 

 - Come nasce questa associazione, quali sono gli obiettivi portanti?
 

L’associazione di volontariato Happy Bridge, nata il 14 Febbraio del 2011, ha come obiettivo quello di promuovere attività che migliorino la vita delle persone detenute e delle loro famiglie. Le attività che in questi anni svolte, con l’aiuto di diversi volontari, sono di diversa natura , essenzialmente di tipo culturale, perché crediamo che la conoscenza sia una delle armi più potenti contro il crimine e l’illegalità. Al centro l’assistenza ai detenuti per migliorare le loro condizioni di vita.
 

- Quali sono le attività che questa associazione promuove?


Per precisare ci siamo occupati di creare eventi musicali, laboratori di scrittura, sportelli di ascolto, corsi di yoga, assistenza legale, pratiche di mediazione familiare, laboratori linguistici, corsi di informatica, ecc. Durante il periodo pandemico purtroppo tutte le attività di volontariato nelle carceri sono state sospese, per cui abbiamo proseguito soltanto con i laboratori di scrittura a distanza ed al sostegno delle persone in detenzione domiciliare per le quali non erano state previste attività di sostegno culturale. Poi abbiamo pensato di incrementare i progetti di prevenzione, progetti che già in parte erano stati avviati con diverse scuole, proprio per contrastare sia la recidiva che il rischio di finire in carcere. Il carcere spesso è visto come un luogo a dire il vero negativo, ma in effetti non è e non deve essere cosi, anzi dovrà essere il luogo di principale formazione e rieducazione per chi sconta la pena.
 

- Che significato ha per lei il carcere e cosa si prova quando ci si entra?


Io sono entrata in carcere nel 1991 da docente di economia aziendale per un istituto di istruzione superiore. Fu una casualità e non una scelta, in quanto non conoscevo il carcere e non sapevo neanche che i detenuti avessero accesso all’istruzione. All’inizio fu un po’ scioccante per le numerose porte di accesso, il rumore delle chiavi e la loro grandezza, i muri grigi, gli odori insipidi della cucina ed il fumo di sigarette, la poca igiene degli spazi comuni, ma soprattutto l’andirivieni dei detenuti nei corridoi. Poi, essendo io una persona curiosa ma anche con un occhio molto rivolto al sociale ed in particolare alle fragilità, ho cominciato a cercare di capire come funzionasse realmente il carcere. Allora osservavo tutto quello che succedeva, facendo molte domande sia ai detenuti che agli educatori, agenti, Direttori, diciamo andando oltre il mio ruolo di docente. Dall’ascolto e dall’osservazione avevo già capito che il carcere così come era non riusciva ad assolvere alla sua funzione rieducativa e di reinserimento delle persone detenute, ma che in genere peggiorava le persone perché le teneva in una stato di infantilismo e dipendenza. La scuola rappresentava e rappresenta a tutt’oggi una grande opportunità di crescita personale e culturale, oltre a far diminuire la possibile recidiva dei reati, sebbene con ancora molti limiti per gli accessi e per la mancanza delle tecnologie.
Però devo dire che sicuramente gli anni ’90 sono stati i migliori a mio avviso, era tutto molto più semplice, paradossalmente, ed i rapporti con il personale amministrativo era più semplice e costruttivo, meno burocratico. Poi è andato tutto peggiorando. Tutto ciò mi ha portato nel 2011 a costituire l’Associazione Happy Bridge con 4 mie amiche, tutte professioniste impegnate in diversi settori. Non a caso ricorreva il 14 Febbraio la Festa degli innamorati, e sicuramente era l’amore che ci ha spinte ad intraprendere questo nuovo percorso di volontariato in carcere.
Ultimamente abbiamo assistito anche ad alcune forme di violenze, per esempio quei filmati che
hanno fatto il giro del mondo del carcere di Santa Maria Capua Vetere, dove agenti della polizia
penitenziaria hanno colpito alcuni detenuti.

- Cosa ha provato nel vedere questo e cosa secondo lei bisognerebbe fare per evitare un evento simile?

 Purtroppo o per fortuna direi, gli eventi di Santa Maria Capua Vetere non mi hanno meravigliato, ma certamente dispiaciuto.
La gente comune non sa fino in fondo quali siano state le condizioni dei detenuti nel periodo pandemico, il forte stress per le molte privazioni che hanno dovuto subire, dalla mancanza dei colloqui in presenza, l’assenza di tutte le attività culturali, l’assenza dei volontari, la carenza di informazioni su quello che stava accadendo nel mondo. Almeno all’inizio è stata davvero pesante, tanto che le rivolte lo hanno dimostrato, poi magari le tensioni si sono alleggerite con la concessione delle telefonate via skype, ma la situazione dei contagi ha messo tutti a dura prova. E’ chiaro che in tutto questo, gli agenti sono state le persone più vicine ai detenuti e quindi quelle che hanno subito maggiormente le pressioni, a differenza del personale amministrativo, per cui anche loro hanno perduto il senno. Non voglio giustificare nessuno, perché rifuggo la violenza in ogni caso, ma dico che purtroppo quando si parla di fragilità in carcere mi viene da pensare anche agli agenti di polizia penitenziaria che purtroppo, in gran parte, non sono ben consapevoli del ruolo che svolgono e i danni o benefici che potrebbero apportare nel loro lavoro. Purtroppo anche queste persone vanno ben istruite e supportate psicologicamente perché il loro è un ruolo delicato e importante. Ne ho conosciuti molti fuori di testa, ma anche molti bravi ed umani. Non si può generalizzare, però il sistema va cambiato e gestito diversamente. Il carcere così come è oggi non funziona e non assolve ai dettati costituzionali dell’art.27.
Ci vuole una riforma seria che coinvolga tutti gli interessati, e direi meglio tutta la società, perché il carcere riguarda tutti, non è un istituzione isolata. Ogni uomo, anche il più bravo, può finire in carcere, perché il cervello è una parte molto sottile del nostro corpo, e può scatenare reazioni a volte inconcepibili razionalmente, ma che sono legate alla sfera emozionale e quindi talvolta incontrollabile. La storia ce lo insegna, grandi personaggi che si sono macchiati di crimini pesanti, molti neanche li conosciamo, ma ci sono. E allora dobbiamo parlare di cura delle persone che sono cadute, per aiutarle a rialzarsi perché ogni vita è importante ed in tutti c’è una parte buona, anzi direi eccellente. Se non si comprende questo non si va da nessuna parte. Spero nella nuova Ministra che ha visioni più elevate rispetto ai suoi predecessori, ma è ovvio che il Ministro da solo non può fare tutto.

- La vostra associazione si occupa anche di prevenire la detenzione, infatti sta promuovendo un importante progetto nelle scuole, “Un pallone per la legalità”. Di che cosa si tratta e come può una scuola aderire?


“Un Pallone per la legalità”, rivolto a tutte le scuole del territorio nazionale, con l’obiettivo di trasmettere ai giovani, valori etici e di educazione civica e legalità, al fine di prevenire atti criminali, di bullismo, di violenza, razzismo, dipendenza da sostanze stupefacenti, azioni che possono segnare in maniera drammatica la vita di tante persone. Il progetto viene svolto con la preziosa partecipazione di Fabrizio Maiello, ex detenuto in OPG di Reggio Emilia, il quale attraverso la sua esperienza e storia di vita in Carcere prima e Ospedale Psichiatrico Giudiziario dopo, ci introduce al complesso e duro mondo della detenzione, ma anche della possibilità di riscatto e cambiamento.
Lo sport, ed in particolare il calcio, fa da veicolo per la trasmissione dei messaggi di legalità, di inclusione, di disciplina e tanto altro.
Per aderire basta mettersi in contatto mail con la nostra Associazione:

 associazionehappybridge@protonmail.com

 

- E per quanto riguarda le istituzioni, come si pongono davanti a tanti problemi e cosa si sente di chiedere in questo momento?
 

Ho partecipato al memento organizzato da Rita Bernardini, esponente radicale, in occasione del quale ho parlato della scuola e del diritto all’istruzione in carcere, ovvero più scuola = meno carcere.
Oltre alla cultura ed al diritto all’istruzione, mi sento di chiedere appunto una riforma vera della giustizia ed in particolare dell’esecuzione della pena che deve essere umana e giusta. Come già detto il carcere cosìcome è oggi è una macelleria umana, che crea altri criminali. Manca tutta l’attività di  reinserimento sociale e lavorativo, oltre alla rieducazione che chiamerei ormai in un altro modo ed attuerei diversamente.Ci vuole personale preparato e motivato, un dialogo costante con tutti gli operatori territoriali, ecc. ecc.
 

Non si butta via la chiave per nessuno.

 

 A cura di Giovanni Paladino

domenica 11 luglio 2021

INTERVISTA A FABRIZIO MAIELLO SULLA TANTO ATTESA ITALIA - INGHILTERRA DELL' 11 LUGLIO 2021

 

Dai “sacri riti” scaramantici al “voto” in caso di augurata vittoria.

 




Il nostro grande Fabrizio Maiello, noto per le sue famose acrobazie e palleggi con oggetti di ogni genere (in particolare frutta e ortaggi - Fabrizio Foodball), ci risponde a qualche domanda sulla grande partita finale di questa sera tra Italia e Inghilterra. Come molti di voi già sapete, Fabrizio ha una storia molto particolare. Da ex promessa del Monza che gli valse il soprannome di “piccolo Maradona”, si è ritrovato a sopravvivere al carcere e in particolare all’OPG. La sua resilienza e voglia di riscatto sono il frutto del suo amore per il calcio e di una forte amicizia con il suo compagno di cella Giovanni. Con lui abbiamo intrapreso il progetto “Un pallone per la legalità” che porteremo nelle scuole italiane. Si rimanda al blog di Happy Bridge per la storia di Fabrizio e per il progetto. 

 


- Fabrizio sei o sei mai stato scaramantico prima di una partita? Hai mai avuto dei “sacri riti”?


Certamente la scaramanzia nel calcio esiste ed è molto sentita dalla maggior parte dei calciatori, dalla squadra, all'interno degli spogliatoi e sul campo di gioco oltre, naturalmente, tra i tifosi sugli spalti e a casa davanti alla tv.
Io ero molto scaramantico già da giovane calciatore. Ricordo che un attimo prima di scendere in campo tenevo stretti in mano tre granelli di sale grosso che facevo cadere a terra appena mettevo i piedi sul terreno di gioco. Anche in carcere e soprattutto nell’OPG di Reggio Emilia, la mia "scaramanzia calcistica" legata alla mia passione per il calcio è andata avanti da dietro le sbarre di una cella.
Lì il  mio "sacro rito" di ogni domenica di campionato prima di collegarmi con la radiolina a “Tutto il calcio” minuto per minuto, era socchiudere il cancello e il blindo (perché mi trovavo in una sezione aperta), stendermi sulla branda sotto il poster del mio unico e vero idolo Diego Armando Maradona e poi fischiare con un fischietto da arbitro (regalatomi dagli amici della Uisp) il fischio d'inizio e il triplice fischio finale, oltre naturalmente i fischi di gioia legati ai goal del mio Napoli.
La scaramanzia - in questi casi - sconsiglia vivamente di esporsi a pronostici oltretutto pubblici, ma mi prenderò il rischio di farlo e lo farò, perché credo che sia un po' come avere il coraggio di tirare il calcio di rigore decisivo che ha tirato il nostro Giorgigno contro la Spagna. E poi voglio soprattutto credere che questa sera porti fortuna ai nostri Azzurri. Anche questa per me si potrebbe chiamare scaramanzia al contrario! 

 




- Come tiferai questa sera per l’Italia?

Questa sera anch'io tiferò per la nostra Nazionale davanti alla TV, lo farò da ex sportivo, ma anche e soprattutto come un attuale "sportivo sociale" a favore sempre e solo della legalità e della libertà.
Per cui tiferò come qualsiasi altro tifoso italiano contento e felice dal punto di vista prettamente sportivo se dovesse arrivare questa prestigiosa vittoria dei nostri Azzurri. Tiferò anche alla resilienza e al coraggio che l’Italia ha saputo dimostrare al mondo intero nell'affrontare la pandemia che ci ha colpiti duramente e quasi abbattuto ma mai vinti definitivamente.
Nella partita di questa sera ci saranno davvero un insieme di emozioni e tutti, da tifosi nelle nostre case e nelle piazze, dobbiamo tirare fuori il meglio di noi, cioè il meglio della nostra bella Italia.




- Qualche pronostico su come andrà? Secondo te si arriverà ai rigori?

Il mio pronostico. L' Italia, razionalmente parlando, non parte da favorita.  L'Inghilterra è una squadra già molto forte di suo, sia dal punto di vista tecnico che tattico, ma soprattutto, anche dal punto di vista fisico. In aggiunta, parte avvantaggiata, giocando in casa in uno stadio pieno di tifosi inglesi. Questo lo farà pesare non poco. Comunque, detto tutto ciò, il cuore e anche la mia testa mi dicono che vinceremo noi e per farlo ci basteranno i classici 90 minuti. Credo che difficilmente questa partita andrà a finire ai tempi supplementari e ancora meno ai rigori. In ogni caso stasera ci sarà da soffrire tantissimo e maledettamente ma - a mio modesto avviso - per un tempo minore di quello della semifinale contro la Spagna.
Se al triplice fischio finale dell'arbitro la vittoria dei nostri Azzurri sarà, io la vedrò e la vorrei immaginare come un volano per continuare nel mio impiego sociale attraverso il pallone e attraverso lo sport. Se la nostra squadra diventerà campionessa d'Europa sarà per me un ulteriore sprono a portare con ancora più forza ed energia il mio impegno sociale attraverso il calcio, il quale è stato la mia vita e la mia resurrezione. Per cui mi piacerebbe davvero tanto, nel caso dell’augurato esito positivo, poter festeggiare insieme a tutti i giovani che incontreremo tra qualche mese nelle scuole grazie al bellissimo progetto della nostra amica Maria Teresa Caccavale “Un pallone per la legalità” che ha lo scopo di prevenire la criminalità tra i giovani ed il rispetto della legalità proprio  attraverso i sani principi di uno sport popolare come il calcio.  Sono sicuro che sulle ali di questo Campionato europeo molti più ragazzi sarebbero propensi ad ascoltare le mie parole e quelle dei nostri cari amici coinvolti nel progetto, tra i quali anche Antonella Leardi madre di Ciro Esposito morto a causa della tifoseria incontrollata.  Abbiamo da insegnare moltissimo soprattutto ai più giovani anche dal punto di vista umano e sociale.

 



- Nel caso dell’augurata vittoria dell’Italia, come festeggerai?

Cari amici, alla faccia della scaramanzia, vi lascio con una promessa e un mio piccolo "voto":  Se al triplice fischio finale saremo davvero noi i Campioni d'Europa, io uscirò di casa per festeggiare con il mio pallone e palleggerò per le strade del paese fino ad arrivare nella piazza della Chiesa. Forza Italia e che la Madonna ci accompagni alla vittoria!

 

A cura di Maria Sole Lupi