lunedì 16 gennaio 2023

ARCHITETTURA PENITENZIARIA - DIRITTI UMANI E QUALITA’ DELLA SALUTE

 ARCHITETTURA PENITENZIARIA

DIRITTI UMANI E QUALITA’ DELLA SALUTE

 l’affettività in carcere: modelli da ripensare

Domenico Alessandro de Rossi

 

Il cervello, la mente e l’ambiente: un sistema interattivo

L’architettura,  la  costruzione  di  edifici  o  la  pianificazione  del  territorio  sono  parte  
delle  diverse attività attraverso cui l’uomo trasforma, mantiene o degrada l’ambiente all’interno
nel quale vive. Queste alterazioni, insieme a molte altre legate per esempio all’agricoltura o alla
escavazione per trarre materiali dalla terra, vengono svolte nell’azione di antropizzazione
dell’habitat1 e sono le più varie. Sebbene tali interventi siano attuati allo scopo di adattare
l'ambiente (naturale) alle proprie esigenze e migliorare la qualità della vita, non è detto che
queste azioni abbiano sempre un impatto positivo  sull'ambiente  e  quindi  sull’uomo.  Anzi,  al  
contrario,  quando  non  sono  ben  ponderate, spesso  hanno  un  effetto  negativo,  danneggiando  
in  maniera  irreversibile  il  naturale  equilibrio dell’ecosistema  del  quale  parte  integrante
 è  l’uomo.  In  tal  senso  la  materia  qui  da  osservare  si presenta  in  termini  
relativamente  complessi  in  quanto  vede  più  elementi  molto  diversi  tra  loro interagire  
secondo  flussi  e  dinamiche  di  segno  opposto:  da  un  lato,  l’influenza  che  il  sistema-
cervello-mente  determina  sull’ambiente  (soggettivistico);  dall’altro,  l’ambiente  come  
elemento modificante il sistema-mente-cervello (oggettivistico).



Lo stato dell’arte

L’interazione tra il comportamento umano e l’ambiente appartiene ormai di diritto allo studio delle
neuroscienze e di altre discipline collaterali, solo apparentemente distanti come l’architettura e
la progettazione dell’habitat: discipline che, anche se con ritardo, si stanno finalmente
affacciando al problema, seppur non avendo ancora sviluppato la necessaria sistematicità e
metodologia di base. L’architettura,  branca  dell’azione umana che struttura e modifica  
l’ambiente all’interno di questo flusso orientato di informazione interattiva, è determinata a
monte dall’attività mentale-progettuale
 

1  D.A. dè Rossi e AA.VV – Habitat industria Energia, analisi della ideologia dell’habitat come
continuo temporale – zioni, Roma 1977


dell’uomo  per  rispondere  alle  sue  esigenze.  All’inverso,  insieme  al  vasto  campo  delle  
arti  in generale,  essa  ha  significative  capacità  di  indirizzare,  orientare  e  modificare  
il  comportamento umano  avvalendosi  di  varie  tipologie  di  stimoli  sensoriali  e  culturali  
forse  ancora  non  del  tutto esplorati,  noti  o  sistematizzati  in  senso  semiotico.  Proprio  
in  merito  alla  semiosi,  è  giusto  qui ricordare Vitruvio, il grande architetto vissuto ai
tempi di Augusto, che nel suo trattato in dieci libri De  Architectura,  nel  definire  questa  
“arte”  con  la  chiarezza  del  ragionamento  latino,  la  riporta all’interno    dei    suoi    
precisi    termini    di    significatività.    Con    sorprendente    intuizione    di
sistematizzazione metalinguistica utilizzata con largo anticipo rispetto agli approcci successivi
dei più  moderni  linguisti,  il  trattatista  scrive:  “Cum  in  omnibus  enim  rebus,  tum  
maxime  etiam  in architectura haec duo insunt: quod significatur  et quod significat”2. In questa
breve introduzione riguardante l’ambiente naturale e antropizzato e le diverse relazioni che si
determinano in modalità interattiva  nel  comportamento  dell’uomo,  nel  fare  riferimento  anche  
alla  prossemica3  e  alla psicologia della forma, più avanti si osserverà quanto l’architettura e
lo spazio da essa creato viene a condizionare l’individuo, specialmente in situazioni di
contenimento quali sono le carceri o altri tipi  di  ambienti  restrittivi.  Le  relativamente  
recenti  discipline  citate,  ma  più  ancora  un  nuovo approccio sistemico in cui sia più marcato
l’interesse olistico di meglio legare tra loro i fenomeni e le  conoscenze,  possono  aiutare  il  
progettista  e  auspicabilmente  coloro  che  vivono  e  lavorano all’interno   o   in   prossimità
  di   queste   particolari   strutture,   a   sviluppare   sempre   più   una consapevolezza  
allargata  riguardante  il  ruolo   e  l’influenza  che  l’ambiente  fisico  assume   in
particolari  circostanze.  Questo  nuovo  modo  di  riflettere  sul  ruolo  dell’habitat  e  dei  
suoi  pesanti condizionamenti può aiutare meglio il recupero della persona ristretta, non come mero
accessorio, ma come elemento determinante contestuale in cui intervengono e si manifestano i vari
fenomeni di interazione tra contesto spazio temporale e psiche.

La prossemica: il significato “nella” distanza.


La prossemica4, occupandosi del significato della distanza e la psicologia della Gestalt per quanto
riguarda il valore e quindi degli aspetti qualitativi della forma percepita, indirettamente
introducono alla  questione  attuale  della  funzione  dell’architettura  penitenziaria  e  delle  
necessarie  attenzioni (progettuali) che debbono essere adottate affinché coloro che sono ristretti
non abbiano a soffrire danni  alla  salute  oltre  alla  sofferenza  per  il  tempo  che  viene  
loro  sequestrato  per  effetto  della condanna.  La prossemica è una non più recente disciplina
che si occupa di studiare il  significato nelle distanze (e quindi delle vicinanze) tra soggetti
umani. Il comprendere il significato culturale che per l’uomo ha lo spazio attraverso i recettori
di distanza di cui dispone (occhi, orecchi, naso), nonché il ruolo informativo svolto dai recettori
immediati (pelle e muscoli) per la determinazione


2  “Perché come in tutti i campi, cosi in particolar modo in architettura sussistono questi due
concetti: il significato” e il significante”. Marco Vitruvio Pollione De Architettura – Edizione
Studio Tesi, Pordenone 1990.
3  Il termine  inglese proxemics,  derivato  di proximity, "prossimità", è stato  introdotto
dall'antropologo  americano  E.T.
Hall negli anni Sessanta del 20° secolo per indicare lo studio dello spazio umano e della distanza
interpersonale nella loro natura di segno. La prossemica indaga il significato che viene assunto,
nel comportamento sociale dell'uomo, dalla distanza che questi interpone tra sé e gli altri, tra sé
e gli oggetti, e, più in generale, il valore che viene attribuito da gruppi culturalmente o
storicamente diversi al modo di porsi nello spazio e di organizzarlo, su cui influiscono elementi
di   carattere   etnologico   e   psicosociologico.   Nell'impostazione   filosofica   della   
fenomenologia,   il   riconoscimento dell'intenzionalità della coscienza conduce alla nozione di
una spazialità umana non geometrica ma vissuta, che non può essere esplorata al di fuori del
rapporto costitutivo con il mondo. Da Prossemica – Universo Corpo – Treccani.
4  “L’Universo della detenzione” a cura di D.A. dè Rossi e AA.VV. ed. Mursia 2011 Milano – dè
Rossi, Cap. III pag. 116 Il significato della distanza




dello spazio termico, tattile, ecc., consente di scoprire come la sfera spaziale immediatamente
vicina all’uomo che via via si allarga, sia pregna di significati complessi e portatrice (anche) di
valori.
Lo spazio come “cultura”. Anche in questi casi

L’approccio  prossemico,  a  questa  decodificazione  dello  spazio  come  cultura  
(antropologica), permette di capire, con  discreta attendibilità, come ad esempio il tono della
voce, la distanza del nostro interlocutore, la sua e la nostra gestualità, la posizione e
l’orientamento dei piedi, l’agitare delle sue e delle nostre mani, fino al movimento stesso delle
pupille e di quelli che sono definiti i microsegnali della mimica facciale, non appartengano alla
casualità dei fenomeni ma rispondano a logiche tutte da scoprire e di cui è bene essere coscienti e
consapevoli. Queste norme non scritte, a cui tutti comunque inconsapevolmente ci sottoponiamo,
fanno parte del nostro patrimonio culturale e genetico, fanno sì che noi, più o meno
automaticamente, teniamo ad usare lo spazio in modo tale da attribuire ad esso un vero e proprio
“valore”. Parliamo ovviamente di un valore depositario di significati  relativi  quindi  alla  
nostra  cultura,  alla  nostra  origine,  alla  nostra  età  e  condizione.  La prossemica ci
spiega questi rigidi meccanismi e il loro relativo funzionamento5.




Fig.1  –  “Convivenza”  a  sinistra  e,  nella  foto  a  destra,  esempio  di  “schermatura”  della
 latrina dalla “zona notte”6


Il  capire  perché  esistono  rigorose  distanze  fisiche  al  di  sotto  delle  quali  (se  non  
si  ricoprono determinati  ruoli  e  in  certi  contesti)  non  sia  considerato  legittimo  
scendere è,  per  lo  studioso  dei significati spaziali, e perciò anche del progettista che si
occupa di  edilizia penitenziaria, nozione determinante per la sua attività di ideazione dello
spazio. Le stesse relazioni fisiche spaziali tra gli individui sono portatrici di significati e, a
seconda dell’uso che ne facciamo, possiamo confermare o revocare  il  ruolo  che  esiste  tra  le  
persone.  Di  qui  partiranno  più  avanti  le  considerazioni  più specifiche riguardanti le
relazioni affettive tra detenuti e mondo libero. In tal senso, anche le forme






















































5   Un  altro  esempio  interessante  è  quello  che  mette  in  evidenza  come  razze  umane  e  
culture  diverse  ammettano  o rifiutino distanze più o meno ravvicinate tra individui: Il mondo
anglosassone in generale non accetta tra estranei, senza scatenare fastidiose forme d’imbarazzo,
dimensioni ravvicinate al di sotto di sessanta/settanta centimetri mentre invece nel mondo arabo
detta dimensione è di molto superata abbassandosi fino anche alla percezione degli odori personali
degli interlocutori (odore della pelle, dell’alito, ecc.). La distanza cambia misura se gli
interlocutori sono amici o ancora di  più  se  sono  consanguinei  o  innamorati.  Esiste  in  tal  
modo  una  distanza  sociale  diversa  da  quella  personale  e individuale la quale non può essere
modificata senza rischiare di recare forte imbarazzo o anche offesa.
6              
http://www.pensalibero.it/il-ministro-orlando-ho-lavorato-in-questi-anni-per-dare-una-risposta-al-pr
oblema-delle- carceri-in-italia/ Articolo di D.A. dè Rossi

3

linguistiche assumono  una  particolare  attinenza  e  precisa  corrispondenza  quando  si  
esprimono  in “mantenimento delle distanze”, “salvaguardando le diversità”, “stando a debita
distanza”, ecc.
Diritti umani e barriere da rispettare

Linguaggio,  espressione  verbale  e  significati  spaziali  (formali,  quindi  gestaltici)  
corrono  di  pari passo.  E’  peraltro  anche  molto  interessante  comprendere  cosa  accade  
quando,  per  ignoranza  del codice spaziale o perché volontariamente vogliamo penetrare nella
sfera dell’altro, “buchiamo” la barriera  prossemica,  accorciando  impropriamente  i  limiti  e  i
 confini  spaziali,  creando  di  fatto indotte condizioni di stress, a lungo andare lesive della
salute dell’individuo. Dal momento che ci si aspetta che le distanze vengano rispettate (in base ai
codici relativi, alle circostanze e ai contesti) si creano delle attese conseguenti le quali, nel
caso in cui vengano infrante o violate, determinano vari tipi   di   reazioni   che   possono   
andare   dall’imbarazzo,   all’angoscia   fino   alla   più   pericolosa aggressività  a  carattere
 difensivo.  Il  sovraffollamento  delle  camere  di  detenzione  delle  carceri italiane-
locuzione più recente rispettosa rispetto alla precedente di cella – è causa della condanna
dell’Italia da parte della CEDU7 per il modo come detiene i ristretti.



7  “A fronte di questa emergenza, che ha una lunga storia di buoni propositi e di tanti ministri
della Giustizia che si sono avvicendati senza ottenere significativi risultati, si cominciò a
tentare di arginare il fenomeno provando ad aumentare la capienza   dei   penitenziari   già   dal  
 2001,   ipotizzando   soluzioni   che   prevedevano   teoriche   procedure   di   leasing
immobiliare e l’ingresso dei privati nella costruzione/gestione di nuovi istituti. Dal 2001 al
2006, tra proposte avanzate ed  effettive  realizzazioni  è  in  Sardegna  che  si  sono  
concentrate  misure  forse  un  po’  più  realistiche,  segnatamente  a Cagliari,  Oristano,  
Sassari,  Tempio  Pausania,  Isili,  Mamone  e  Is  Arenas.  Ma  sarà  proprio  dal  2008  al  2011
 che  la fantasia dell’allora ministro della Giustizia, non trovando migliori soluzioni al
problema, trovò modo di esercitarsi al massimo escogitando ipotesi che prevedevano addirittura
carceri galleggianti su chiatte in ferro: un progetto industriale, basato su una bizzarra quanto
improponibile soluzione tecnica, ingenuamente fiducioso di poter risolvere il problema del
sovraffollamento in via definitiva (proposta di cui si è parlato nel capitolo III, avanzata al
Governo in alternativa agli istituti terrestri).  La  “brillante” ipotesi prevedeva l’attracco  
fisso  delle  navi-prigione  in  vari porti italiani tra cui Genova,  Livorno,  Ravenna,  
Civitavecchia,  Napoli,  Goia  Tauro,  Bari,  Palermo.  Fortunatamente  l’idea  naufragò nonostante
 l’impegno   progettuale  della  società   armatrice,  sia  per  il  costo  comunque  alto,   sia  
per  l’intrinseca insostenibilità   del   programma   sotto   il   profilo   gestionale   ed   
umano.   In   effetti,   dal   2011   poco   si   è   fatto   di significativamente risolutivo,
anche perché la breve durata dei vari ministri della Giustizia, alternatisi ai vari governi
rapidamente susseguitisi  nel tempo, non ha potuto apportare oggettivi aggiustamenti alla grave
situazione carceraria. Nel frattempo già alto si era levato il monito (in parte inascoltato) del
Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il  quale  senza  mezzi  termini  di  nuovo  
sollecitava  il  Governo  e  il  Parlamento  ad  attuare  il  più  rapidamente  possibile quelle
riforme che facessero  uscire l’Italia dall’infamante situazione nella quale teneva esseri umani
all’interno delle carceri di Stato. Eventualmente non escludendo misure “sanatorie” anche più
radicali, politicamente osteggiate da non poche forze politiche che, per motivi diversi e di mero
consenso elettorale, non intendevano procedere con condoni e sanatorie su percorsi di indulto e
amnistia. (…) La sentenza pronunciata dalla Corte di Strasburgo  nel gennaio  2013 rappresenta per
l’Italia, l’atto finale di una condanna senza attenuanti per il suo sistema penitenziario in
spregio al paese che fu di Cesare Beccaria e di tanti altri illuminati giuristi. Tutto nasce dalla
manifesta violazione dell’articolo 3 della Convenzione  europea,  ovvero  la  proibizione  di  
“trattamenti  inumani  e degradanti”  nei  confronti  di  coloro  che  sono detenuti  in  
condizioni  inaccettabili  all’interno  di  celle  di  dimensioni  insufficienti  e  con  servizi  
non  idonei.  Nel  suo giudizio generale la Corte veniva considerando lo spazio minimo vitale per
un detenuto non soltanto in base ai metri quadrati a disposizione ma, molto correttamente, entrava
nel merito anche delle più generali condizioni di vivibilità, le quali determinavano situazioni
ambientali di inaccettabile degrado per i detenuti.
La natura “sistemica” della sentenza.
Con la decisione assunta, i giudici della CEDU constatavano inoltre che il problema del
sovraffollamento delle carcerari non poteva non essere che di natura “sistemica” (sic) e che il
problema apparente della mancanza di spazio nelle celle non  riguardava  solo  i  ricorrenti,  
avendo  la  Corte  già  ricevuto  al  tempo  più  di  550  ricorsi  da  altri  detenuti  che
sostenevano di essere tenuti in celle dove avrebbero a disposizione non più di tre metri quadrati
(branda compresa) a persona.  I  giudici  di  Strasburgo,  mentre  da  un  lato  si  sono  astenuti
 dall’interferire  con  le  scelte  di  politica  penale dell’Italia, nel rispetto giustamente
dell’autonomia politica e della sovranità degli Stati contraenti, non hanno comunque voluto mancare
di sottolineare nella sentenza la necessità di considerare l’introduzione di opportune misure
alternative alla detenzione, ricorrendo se del caso alla incarcerazione solo quale extrema ratio
come misura di ultima istanza. La
4

Il significato della distanza

Le considerazioni sin qui svolte, utilizzando le conoscenze della prossemica, portano il
progettista di  strutture  destinate  alla  detenzione  a  compiere  una  analisi  appropriata  
circa  il  problema  della dimensione e dei diversi ambienti da usare all’interno di questo tipo di
istituti  anche ai fini della salvaguardia del diritto alla salute. Atteso che, per quanto si è
annotato, l’accorciamento al di sotto di una determinata soglia  delle distanze fra esseri umani,
può provocare gravi stati di  ansia  e in ultimo  di  forte  stress.  Se  poi,  come  spesso  
avviene  negli  attuali  penitenziari,  vengono  ad  essere mescolati insieme individui
appartenenti a culture, tradizioni e religioni profondamente diverse, il problema della distanza si
pone in modo ancora più cocente e obbliga a riflessioni concernenti non solo lo spazio e le sue
dimensioni ma anche il criterio di attribuzione degli ambienti e di coloro che in base alla loro
cultura e tradizione vengono ad occuparli più o meno provvisoriamente. Si è ormai accertato che la
distanza dei sessanta/settanta centimetri tra esseri umani può essere grave motivo di  disagio  per
 un  anglosassone  e  misura  accettabile  per  un  individuo  di  cultura  araba.  Di  qui  i
problemi   dell’affollamento,   della   densità   abitativa,   della   capacità   reale   e   non   
teorica   di accoglimento negli ambienti destinati alla detenzione: spazi che dovrebbero essere
pensati anche in base  a  tali  principi,  considerato  che  il  rendere  le  condizioni  di  
permanenza  all’interno  di  un penitenziario di fatto inaccettabili non favorisce certo il
cambiamento in senso positivo del recupero dell’individuo  nel  corpo  sociale.  Anzi,  ciò  può  
determinare,  oltre  allo  stress  e  la  conseguente sofferenza, anche il consolidamento di un
profondo odio sociale verso lo Stato e le istituzioni che per  primi  non  sono  in  grado  di  
garantire,  con  normali  regole  di  convivenza  civile,  accettabili condizioni di vivibilità nel
periodo della detenzione.
Il rischio salute: la carenza dello spazio vitale

E’ su quest’ultima osservazione - intorno alla quale da molti anni e da differenti posizioni si
discute
– sulla quale anche il progettista deve riflettere correttamente cercando di adottare il più
possibile misure che salvaguardino il principio della sicurezza, del controllo, dell’economia e che
siano utili a diminuire  le  condizioni  di  stress  e  di  sofferenza  da  carenza  di  spazio  
vitale.  Il  carcere  nel  suo modello ideale dovrebbe poter tenere conto che l’impianto edilizio è
condizione fondamentale per la riabilitazione civile dell’individuo: sbagliata è l’idea che la
riduzione dello spazio possa essere un surrettizio elemento punitivo da accompagnare alla durata
della pena. Spazio e tempo in questo caso dovrebbero essere ben distinti e mai adoperati insieme
come spesso si è fatto, per costituire in modo più  o  meno  coperto,  forme  diverse  di  
retribuzione  penale,  arrecando  contemporaneamente  grave danno alla salute e ai diritti del
detenuto.
Logica sistemica e cultura olistica

Il  campo  che  si  apre,  quindi,  è  vastissimo  e  impegna  più  di  una  disciplina  
specialistica  come  ad esempio  la  psicologia,  la  psichiatria,  la  farmacologia,  la  
sociologia,  l’antropologia,  la  biologia, l’ecologia, l’architettura, la medicina e forse non
solo. E’ più che evidente che lo sforzo culturale in tal senso deve essere indirizzato e se
possibile gestito in una cultura olistica, prettamente incardinata su una nuova logica sistemica
dove venga superato il vecchio schema razionalista di tipo cartesiano
prevista  compensazione  pecuniaria  per  i  danni  morali  subiti  in  violazione  dell’articolo  
3  della  Convenzione  è  stata quantificata dalla Corte in una somma di circa 100.000 € per tutti
i detenuti ricorrenti”.
Cfr “Non solo carcere” cap. IX pag. 234 D.A. dè Rossi – Mursia 2016



5volto a spacchettare le ragioni dell’essere, polverizzando di fatto il fenomeno nella sua
complessità ed interezza. La psicologia ambientale connessa ai suddetti principi, affrontata nel
suo complesso da Robert  Bechtel,  ritiene  che  oggi  essa  rappresenti  la  terza  rivoluzione  
del  pensiero,  dopo  quella copernicana e darwiniana. Infatti, come le altre, quest’ultima ci
indica con chiarezza che gli esseri umani sono soggetti alla natura, all’ambiente in cui vivono,
sono vissuti e dove hanno ricevuto le prime informazioni dall’ambiente.
La mappa cognitiva

La  non  più  recentissima  nozione  di  mappa  cognitiva  è  un  tentativo  empirico  di  
descrivere  una rappresentazione mentale dell’ambiente nel quale l’individuo si trova, si troverà o
in tempi diversi si  è  trovato.  L’orientamento,  ad  esempio,  è  basato  su  questo  schema  
della  psiche,  all’interno  del quale ciò che lo rende utile e significativo non è la precisione
“grafica”, quanto le caratteristiche qualitative dei diversi riferimenti. Ciò è tanto importante
per la definizione della qualità dell’habitat, sia  esso  inteso  come  città,  quartiere,  la  
casa  o  ambiente  naturale  che  dovrebbe  impegnare  il progettista (architetto o urbanista) a
tenere in debito conto dei riferimenti simbolico-spaziali atti a definire posizione, meta e
direzione motivata di ogni spostamento. L’elaborazione mentale di una mappa  cognitiva,  secondo  
Lynch  (1960)  nel  suo  “The  Image  Of  the  Cit”  MIT  Press,  si  articola almeno su cinque
fattori fondamentali e rappresenta lo spazio secondo due tipologie: 1) sequenziale, quando mette in
fila le informazioni sull’ambiente8;  2) parallela, quando rappresenta la situazione a volo
d’uccello9. I fattori distintivi sono: a) distretti: aree o spazi funzionali distinti e
riconoscibili nel tessuto; b) percorsi: canali destinati al movimento; c) nodi: punti di
intersezione nella continuità della rete; d) margini: confini tra elementi diversi; e) segnali di
riferimento: emergenze simbolico rappresentative naturali  o artificiali. Questi schemi impegnano
ovviamente la memoria e pertanto saranno  più  o  meno  precisi  nella  definizione  della  mappa  
cognitiva  in  funzione  del  grado  di attenzione e delle condizioni mnestiche a sostegno (memoria
uditiva, visiva, olfattiva..). All’interno del  campo  vastissimo  nel  quale  ci  siamo  finora  
inoltrati,  riguardante  le  interazioni  soggettive  e oggettive  dell’uomo,  non  possiamo  
dimenticare  altrettanti  fattori  che  condizionano  e  regolano  la presenza umana nel contesto
ambientale. Incorreremmo in un approccio superficiale se alle teorie, alle prassi progettuali, alle
metodologie, al sistema/flusso cervello-mente-ambiente e viceversa, non facessimo  anche  il  
necessario  riferimento  a  quelli  che  sono  ulteriori  fattori  esterni,  di  contesto sociale,
antropologico e normativo. Questi elementi, tutti intervengono a tutela della salute umana e dei
diritti della persona ristretta, così come anche interessano direttamente i principi costituzionali
che tendono a proteggere l’individuo proprio nelle condizioni di detenzione.
Salute, architettura penitenziaria e modelli da ripensare

Traggo dal libro10 ”Non solo carcere” parte del capitolo dedicato al tema in oggetto: “In tal senso
è necessario esaminare alcune questioni riguardanti il complesso rapporto esistente tra
l’architettura, intesa   come   consapevole   tecnica   del   costruire   e   la   sua   capacità   
(o   idoneità)   di   formulare

8  Schema derivante, ad esempio, quando si ricevono informazioni per gli indirizzi stradali (la
seconda a destra, dopo la piazza)
9  La rappresentazione delle carte geografiche, topografiche o le planimetrie di edifici e
appartamenti
10   “Non solo carcere, norme, storia e architettura dei modelli penitenziari” a cura di D.A. dè
Rossi e AA.VV. ed. Mursia 2016 Milano – dè Rossi Cap. III pagg. 81 e segg.

6correttamente  gli  spazi  e  le  funzioni11  destinati  alla  detenzione.  Problematica  a  prima  
vista apparentemente assodata e di facile soluzione, ma in realtà ricca di contorni culturali
importanti a stento definibili e non sempre sostenuti da visioni unitarie largamente condivise.
Cosa sia l’edilizia penitenziaria  sembrerebbe  una  domanda  semplice  se  non  ci  ponessimo  
l’interrogativo  del  come realizzare  lo  spazio-contenitore  di  un  carcere  e  cosa  possa  
significare  la  vita  all’interno  di  un penitenziario con i problemi connessi al
sovraffollamento, al rapporto con la città, al sistema delle reti trasportistiche, alla
funzionalità interna ed esterna, al deradicamento  dei rapporti affettivi.  La vita di un
condannato, che per un certo periodo di tempo è costretto a passare in prigione, ristretto e
obbligato all’interno di una camera e di un gruppo di edifici, talvolta in condizioni di isolamento
e/o in  comunità,  obbliga  sempre il  progettista  a  rivolgere  la  propria attenzione  su  una  
graduatoria  di considerazioni che necessariamente debbono partire dalla vasta problematica
concernente i “Diritti Umani”,  per  giungere  agli  “aspetti  applicativi”  dettati  dalla  
legislazione  vigente  nel  quadro  di riferimento  costituzionale  e  dalla  specifica  normativa.
 Elementi  questi,  tutti  facenti  capo  ai  vari organi dello Stato che hanno competenza distinta
nella materia penitenziaria. Da un lato, la pietra miliare  dei  Diritti  Umani  e  dall’altro,  le
 diverse  disposizioni  applicative  sono,  talvolta,  elementi posti  ad  una  notevole  distanza  
tra loro,  obbligando  il  progettista  ad  elaborazioni  che  non  sempre trovano la loro risposta
nella rigida applicazione degli articolati forniti dai Dipartimenti competenti.











Fig.2 - Forme di violenza fisica molto prossime alla tortura, con esiti spesso mortali a seguito di
pestaggi violenti

Quando la “pietra” condiziona la mente

Quando la condanna penale si fa “materia e azione”, sostanza e gesto per sequestrare il tempo e lo
spazio al condannato, deve comunque realizzare e disporre di una struttura, di un luogo fisico
fatto di  muri,  di  finestre,  ambienti  e  luci,  di  scale  e  (possibilmente)  di  verde,  in  
un  contesto  sociale interattivo  all’interno  del  quale  la  punizione  deve  essere  scontata.  
Ma  se  il  pensiero  determina l’azione dominando la materia, è anche possibile che la “pietra” di
cui è fatta la materia influenzi il pensiero, instaurando quel necessario processo retroattivo di
ri-condizionamento comportamentale previsto  per  la  rieducazione  del  detenuto12.  Per  il  
tramite  del  sillogismo  sopra esposto,  possiamo tornare  al  delicato  rapporto  concernente  la
 tipologia  dello  spazio  architettonico  e  il  suo  diretto requisito di vivibilità in termini
di qualità: particolare attributo di un habitat all’interno scorgiamo il

11  Nel lungo elenco delle funzioni presenti all’interno dello spazio detentivo hanno o dovrebbero
trovare luogo anche ambienti  destinati  ai  cosiddetti  rapporti  affettivi.  Argomento  questo  
che  verrà  trattato  in  chiusura  della  presente trattazione
12  Schema retroattivo trattato in apertura della presente trattazione.

7necessario  percorso  che  trasformi  il  carcere  da  “luogo-di-pena”  (di  fatto  leggasi  
“luogo-di- sofferenza”) a struttura di reclusione, correzione e riabilitazione comportamentale,
secondo il senso del  dettato  della  Costituzione13.  La  consapevolezza  del  ruolo  
importantissimo  che  hanno  quindi l’ambiente,  i  materiali,  la  luce  artificiale  e  naturale,
 l’articolazione  e  i  colori  degli  spazi  e  delle funzioni  all’interno  di  una  struttura  
penitenziaria,  ha  fatto  emergere  con  tutta  evidenza  che  il carcere, per come si presenta
oggi in Italia - procedure trattamentali e ambienti edilizi, opportunità di  apprendimento  e  
lavoro  -  infligge  al  condannato  ed  anche  a  coloro  che  nel  carcere  lavorano,
diversificati gradi di sofferenza, di disagio, depressione, disperazione, annientamento. Quando, se
non  addirittura,  forme  di  violenza  fisica  molto  prossime  alla  tortura,  con  esiti  spesso
 mortali  a seguito di pestaggi violenti. In tal senso, è giusto il caso di segnalare quanto viene
sottolineato nella relazione  annuale  da  Amnesty  International.  Al  centro  del  più  recente  
rapporto,  evidenti  sono  le preoccupazioni per la perdurante assenza del reato di tortura non
ancora previsto nella legislazione italiana, così come la discriminazione nei confronti delle
comunità Rom e nei centri di detenzione per  migranti  irregolari  e  il  mancato  accertamento  
delle  responsabilità  per  le  morti  in  custodia,  a seguito d'indagini talvolta lacunose e
carenze nei procedimenti giudiziari. Anche in questo caso ci si attende  da  parte  del  parlamento
 italiano  un  impegno  ulteriore  prima  che  perentoria  giunga  una nuova censura da parte della
Corte di Strasburgo”.14

La funzione dello spazio penitenziario

Di contro sappiamo che in tutti gli altri casi che non siano quelli della progettazione di un
carcere, normalmente  l’attività  svolta  dal  progettista  nella  maggior  parte  delle  
situazioni  è  indirizzata  ad immaginare  spazi  che  possano  offrire  il  massimo  della  
funzionalità,  della  comodità,  del  comfort, dell’estetica,  in  funzione  delle  risorse    
disponibili  sempre  nella  compatibilità  dei  limiti  posti dall’esterno, non solo economici.  
Ciò che si vuole affermare qui – per ricordare anche di recenti progetti  di  carceri  varate  dal  
DAP  -  è  che  occorre  (ri)conferire  dignità  e  austerità  al  contenitore (nella  sua  
formulazione  architettonica)  per  meglio  attribuire  rispetto  ed  importanza  alla  funzione
che   al   suo   interno   è   esercitata15.   Uno   dei   più   grandi   mali   della   società   
contemporanea   e dell’ambiente  costruito,  è  quello  di  avere  rinunciato  a  diffondere  
valori  autentici,  condivisi  e comprensibili anche nelle forme. L’architettura, nel suo essere
linguaggio e perciò cultura, godendo nel  passato  di  un  codice  comprensibile  a  livello  
sociale,  svolgeva  anche  questo  ruolo  di  grande comunicatore e di stabilità dell’assetto
sociale. Anche per lo studio di un modello di penitenziario, non essendo mai tutto scontato, nel
momento della progettazione il designer è chiamato a rivolgere (a se stesso) alcune domande. La
prima delle quali concerne la comprensione della “funzione-dello- spazio”  facendo  riferimento  
alle  sue  molteplici  espressioni  presenti  all’interno  di  un  istituto  di detenzione16.  In  
cosa  consista  l’attributo  comunicativo  dello  spazio-ristretto  dovrebbe  essere  una delle
prime domande a cui occorrerebbe dare una risposta certa.
Tra benessere e malessere, un limite da identificare

Quali sono i criteri minimi di funzionalità a cui deve attenersi il progettista che riguardano i
vari problemi  concernenti  la  sicurezza,  l’igiene,  la  vivibilità  e  la  dimensione  di  un  
ambiente-chiuso

13  “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere
alla rieducazione del condannato” –  art. 27
14  Op.Cit - D.A. dè Rossi, Cap. IX pag. 251
15  http://www.pensalibero.it/carcere-nola-burocrazia-declamazioni-illusorie/
16 Celle, camere di detenzione, ambienti di ricreazione, laboratori, palestre, ecc.
8

quale è quello che per definizione identifichiamo come carcere? Che vuol dire benessere dentro il
carcere?  E’  legittimo  porre  un  simile  interrogativo?  Al  penultimo  quesito  si  potrebbe  
rispondere semplicemente  richiamando  “tutto  ciò  che  non  comporti  il  suo  contrario”,  cioè  
l’inquietudine,  il turbamento,  la  depressione,  il  dolore,  il  desiderio  di  
autoannientamento.  A  prima  vista  queste potrebbero sembrare domande retoriche poiché si ritiene
che il carcere debba offrire, ovviamente senza  disagio  e  sofferenza,  solo  l’obbligo  della  
permanenza  all’interno  di  spazi  ristretti  nella misura (minima) consentita,  unitamente  ad  
altri  spazi  ove  possano  essere  garantite  quelle  attività permesse, destinate alla
formazione, alla socializzazione e al lavoro. La restrizione della libertà, che da  sola  
corrisponde  alla  condanna,  impone  esclusivamente  la  permanenza  del  condannato  in ambienti  
chiusi  (ancorché  differenziati);  ove  lo  spazio  fisico  e  perciò  la  dimensione,  sono
intenzionalmente  ridotti;  di  fatto  volti  a  diminuire  la  capacità  di  movimento.  Aldilà  
delle  misure minime riscontrabili nell’arida normativa dedicata, un sicuro motivo di interesse per
il progettista (e non solo) è dato dalla individuazione del limite sottile e dall’accertamento di
quella soglia minima che  divide  un  non  meglio  definibile  benessere  da  un  sicuro,  
accertabile  e  obiettivo  malessere all’interno  dei  ristretti  spazi  del  carcere.  Qui,  più  
in  generale,  entreremmo  nel  vasto  campo  della medicina   penitenziaria,   argomento   che   
però   esula   dalla   presente   trattazione   e   volentieri   lo rimandiamo a coloro che in
questo campo sono direttamente impegnati professionalmente. Il grave fatto occorso recentemente
presso il carcere di Rebibbia a Roma, dove la detenuta ha fatto morire i suoi  bambini,  
meriterebbe  un  approccio  problematico  molto  più  vasto  rispetto  a  quello  finora adottato  
in  termini  sbrigativi  di  tecnicalità  burocratica  e  di  pseudo  politica  gestionale.  Questi
drammatici  casi  che  emergono  dalle  diverse  realtà  penitenziarie  -  scoprendo  
“improvvisamente” una certa inadeguatezza nell’apparato politico-gestionale della carcerazione -
dimostrano in modo sempre più evidente l’urgenza di una riflessione destinata ad nuovo assetto
formativo. C’è più che mai  bisogno  di  un  organico  programma  sistemico-culturale,  finalizzato
 alla  costruzione  di  una intelligenza organizzativa multidisciplinare destinata a comprendere e
meglio gestire taluni casi più sensibili,  comunque  inquadrati  all’interno  di  un  disegno  
strategico  ove  la  detenzione  non  si configuri come discarica umana ma come opportunità di
recupero e di rispetto per l’individuo. Non ci  risulta  purtroppo  che  gli  “Stati  generali  
dell’esecuzione  penitenziaria”  voluti  dal  ministro Orlando, abbiano saputo affrontare in tale
chiave culturale la complessità del problema17.

Recupero, riabilitazione e rimunerazione della vittima

Recentemente, tuttavia, le tendenze sono sempre più orientate verso un pensiero correzionale e in
direzione  di  un  uso  più  idoneo  delle  carceri  intese  non  solo  come  strumento  di  
limitazione  della libertà e di esperienza della pena ma come momento di ristrutturazione del
comportamento asociale e  deviato.  Attraverso  massicci  sussidi  per  la  pianificazione  e  
l'attuazione,  i  governi   dovrebbero incoraggiare  lo  sviluppo  di  programmi  speciali  
destinati  alla  riabilitazione  estensiva  direttamente orientata  anche  al  carcere  a  breve  
termine  o,  al  meglio,  verso  una  legislazione  che  prevedesse congrue misure deflattive circa
l’affollamento degli istituti mediante l’utilizzo di articolati criteri di depenalizzazione  dei  
reati  minori  e,  contemporaneamente,  di  pratiche  alternative  alla  detenzione all’interno  
degli  istituti.  Istituti  correzionali,  carceri  o  penitenziari,  sono  vari  modi  per  
definire quelle strutture di servizio destinate alla gestione (quasi) totale della vita delle
persone condannate. Dato  che  la  riabilitazione  è  un  obiettivo  fondamentale  di  queste  
istituzioni,  l'attuale  filosofia correzionale chiede un trattamento individualizzato fino al più
alto livello pratico, anche a livello di

17  Dell’indifferenza  e  della  inutilità  di  quel  “sinodo”,  rappresentato  dagli  Stati  
generali  ne  è  prova  l’ultimo  progetto approntato  dal  DAP  relativamente  al  nuovo  
penitenziario  di  Nola.  Si  veda  a  tale  proposito  l’articolo  “Quando  alle parole  non  
corrispondono  i  fatti”  25.03.2017  a  firma  dell’autore  su  Ristretti  Orizzonti:  
http://www.ristretti.org/Le-
Notizie-di-Ristretti/il-qnuovoq-carcere-di-nola-quando-alle-parole-non-corrispondono-i-fatti

9massima  sicurezza.  Gli  elementi  essenziali  di  un  buon  programma  correzionale  
individualizzato, comprendono sostanzialmente:
-       la classificazione scientifica e di pianificazione del programma completo basato sulla
storia del caso e lo svolgimento degli esami,
-       i servizi medici e dentistici che forniscano trattamenti curativi e di correzione,
-       la terapia individuale e di gruppo,
-       la consulenza specifica,
-       la formazione professionale ed (eventualmente) accademica,
-       le attività ricreative al chiuso e all'aperto,
-       i servizi sociali per i casi dei prigionieri ed i loro familiari, (cura dei rapporti
affettivi)
-       i servizi speciali di trattamento, custodia e cura per le donne con figli al seguito,(Icam)
-       la preparazione per libertà condizionata o per il rilascio.
Le  varietà  di  programmi  di  trattamento,  che  corrispondono  alle  diverse  esigenze  dei  
detenuti, richiedono un sistema di istituti correzionali specializzati, classificati, coordinati ed
organizzati in termini di personale e di programma, in modo da poter soddisfare i bisogni specifici
dei carcerati. Le  comunità  di  centri  correzionali,  specialmente  all’estero  e  negli  USA  in
 particolare,  sono  il risultato del nuovo accento che ormai da anni si dà alla teoria
correzionale di costruire o ricostruire solidi legami tra l'autore del reato e la comunità, di
integrare o reintegrare l'autore del reato nella vita  della  comunità.  Questo  tipo  di  
struttura  si  trova  all'interno  della  comunità  e  può  servire  a contenere sia i trasgressori
in attesa di processo che i condannati in via definitiva. La premessa di base  di  un  tale  
impianto  è  il  massimo  utilizzo  delle  risorse  della  comunità  nel  processo  di correzione,
fornendo servizi esistenti alla struttura sulla base di un contratto. Ad esempio, le risorse
educative e commerciali-industriali della comunità, possono essere utilizzate per la formazione e
la riabilitazione  dei  criminali.  Così  il  centro  correzionale  può  funzionare  come  un  
ambulatorio,  un centro di trattamento per un esteso sistema di libertà condizionata e, in
definitiva, può risolvere il problema di sovraffollamento degli esistenti istituti detentivi.
Tradizionalmente, almeno nei paesi anglosassoni, tali enti sono stati situati al di fuori dei
centri urbani, isolati su grandi distese di terreni demaniali  tra  boschi  e  foreste.  Queste  
comunità  hanno  un  complemento  aggiuntivo  esterno  di personale  e  di  servizi,  compresi  
quelli  medici,  educativi,  ricreativi,  religiosi,  alimentari  e  di manutenzione. La
pianificazione di strutture di detenzione deve coinvolgere molte persone a livello governativo e
della comunità locale. Dal momento che nessun singolo progettista od organizzazione può prendere in
considerazione in modo adeguato tutte le molteplici esigenze della comunità nella pianificazione  
di  un  centro  di  detenzione,  il  ruolo  del  progettista  durante  questa  prima  fase  deve
essere   come   membro   di   un   team   specializzato.   La   stretta   collaborazione   con   la
  pubblica amministrazione, dei vari Enti e delle principali organizzazioni coinvolte
(rappresentanze sindacali, sociali,  dei  detenuti,  ecc.)  dovrebbe  essere  obbligatoria.  Nel  
nostro  Paese,  ad  esempio,  e  in particolare  nelle  grandi  città,  svolgono  questa  funzione  
i municipi,  le  circoscrizioni  con  i  relativi consigli di quartiere che talvolta si esprimono
su tali argomenti, apportando il loro contributo.
Qualche interrogativo

Quali sono oggi, allo stato attuale della situazione carceraria nel nostro Paese, gli strumenti
che, nel rispetto della normativa specifica e nel rispetto del mantenimento della condanna, possono
essere di aiuto al progettista affinché sia messo in condizione di procedere con sicurezza sul
terreno di una progettazione che ammetta un accettabile margine di benessere all’interno degli
spazi penitenziari?
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Quanto possono essere  di aiuto al progettista i  suggerimenti degli  psicologi e in  generale di
tutti coloro che sono specializzati in materia, che hanno maturato esperienza diretta nell’universo
della detenzione? Che tipo di reattività si riscontra nell’individuo costretto a vivere in spazi
ridotti? Che incidenza  ha  la  luce  naturale  e/o  artificiale  sulla  psiche  del  detenuto  per
 prevenire  depressioni, patologie connesse o addirittura suicidi?


Fig.3 - Contenzione e sofferenza.

Come  gestire,  nel  rispetto  del  più  sano  equilibrio  psicofisico  il  rapporto  con  una  
sana  sessualità durante  lo  stato  di  detenzione?  In  che  modo  e  quando  consentire  il  
mantenimento  dei  rapporti affettivi  col  partner  e  con  i  figli  in  ambiti  che  rispettino  
la  privacy?  Quanto  è  importante  la configurazione  dello  spazio  architettonico  nel  
mantenimento  della  salute  mentale  di  chi  vive  per anni all’interno di un penitenziario?
Qual’é l’incidenza dei suicidi in situazioni di stress prolungato dovuto  a  carenza  o  in  
difetto  di  spazi  adeguati?  E  il  riverbero  sonoro?  Che  valore  ha  l’eco  o  il rumore
assordante all’interno degli ambienti nel generare fenomeni di alienazione e straniamento? Che  
rapporto  dimensionale  ci  deve  essere  tra  locali  artificiali  destinati  alla  detenzione  e  
spazi (sorvegliati) ove sia possibile respirare aria all’aperto? Il verde e la vegetazione possono
concorrere per  la  qualificazione  degli  spazi  all’aperto  e,  se  del  caso,  in  che  misura  
al  miglioramento  delle condizioni psicologiche della detenzione? Siamo certi che sia utile che
all’interno del carcere tutti gli  ambienti,  gli  spazi,  gli  arredi  e  le  componenti  edilizie
 debbano  sempre  e  necessariamente veicolare messaggi di durezza, di costrizione, di oppressione?
È proprio necessario che la scatola edilizia  sia  percepita  sempre  e  solo  in  termini  di  
cancelli,  grate,  inferriate  e  bulloni?  Può  il progettista immaginare sistemi che, garantendo
comunque la sicurezza, la vigilanza, il controllo e l’economia,  siano  conformati  in  modo  da  
non  generare  necessariamente  stimoli  reattivi  e  di sofferenza in chi è costretto a vivere per
lungo tempo in ambienti del tutto artificiali? Siamo certi che la detenzione di donne in stato di
gravidanza o che abbiano figli che con loro convivono in stato di detenzione non debbano scontare
la pena in ambienti appositamente ri-creati, fatti più a misura di asilo e meno di carcere, con
ambienti interni e spazi all’aperto per la cura e custodia del bambino? Siamo  sicuri  che  la  
maternità  e  tutto  quel  che  segue  in  ordine  all’affetto  e  all’educazione  del bambino  
possano  trovare  in  un  carcere  di  forma  tradizionale  la  migliore  soluzione  per  le  
future generazioni che, senza alcuna colpa, trascorrono oggi i primi anni della loro vita in
carcere vicino alle  loro  madri?  E’  giusto  porsi  tali  interrogativi  perché  vengano  rivolti
 in  primo  luogo  alle istituzioni,  agli  esperti  e  a  coloro  che  in  seguito  dovranno  
svolgere  in  modo  corretto  una progettazione che sia al meglio adeguata alle esigenze di una più
 umana detenzione, tenendo ben
11

presente  il  necessario  punto  di  equilibrio  tra  la  riabilitazione  e  l’inviolabilità  del  
principio  del ristoro della vittima, mai dimenticando comunque il disagio della maternità in
carcere e il rischio delle conseguenze traumatiche sulle indifese psicologie infantili.

Fig. 4  Bambini dietro le sbarre - Icam (L. 354 del 1975): modelli da ripensare integralmente

“Lunghi corridoi, pavimenti lucidi, finiture che riflettono la luce ed i rumori, sono elementi
ipnotici che  rendono  impersonale  e  ossessivo  tutto  il  contesto  ambientale.  Lo  sviluppo  
della  scienza  del comportamento umano (behaviourism) ha giustamente portato oggi ad una maggiore
attenzione ed enfasi intorno alla riabilitazione dei trasgressori attraverso un più ragionato
approccio concernente il trattamento  e,  quindi,  la  necessità  di  una  formazione  
professionale  specializzata  in  tal  senso.  La base  di  questi  programmi  destinati  al  
recupero  comportamentale  è  fonte  costante  di  un’attenta riflessione  per  il  detenuto  come  
persona,  ma  soprattutto  come  individuo.  Queste  conoscenze  non possono  essere  escluse  
dalla  preparazione  del  progettista  e  devono  essere  applicate  nella  fase ideativa e
organizzativa delle nuove strutture correzionali per creare un ambiente tale da favorire gli attesi
risultati positivi. Occorre peraltro non dimenticare che la rimozione di un uomo dalla società e la
 conseguente  perdita  della  sua  libertà,  privacy  ed  indipendenza,  nonché  la  rigorosa  
routine quotidiana, dà come risultato un ambiente totalmente depersonalizzato e totalitario. In  
generale le convenzioni  per  la  progettazione  di  istituti  correzionali  sono  oggi  ormai  
superate  come  anche  i concetti  di  efficienza  e  di  funzionalismo  che  hanno  portato  alla  
ripetitività  e  alla  simmetrica modalità dello spazio e delle forme caratteristiche  degli
istituti di correzione. Questi interrogativi sono posti affinché in tutte le diverse fasi della
progettazione vengano affrontate senza superficialità tali problematiche che sicuramente fanno
parte di un corretto modo di procedere circa il non facile
12

compito di creare spazi, ambienti ed edifici destinati alla detenzione. Per immaginare strutture
che non  comportino  afflizione  ma  che  possano  contribuire  ad  agevolare  il  reinserimento  
sociale dell’individuo che ha scontato la pena e pagato il giusto tributo alla società. In
discussione qui non è tanto il limite inferiore che si sta ricercando, valore abbastanza definito
dalle norme applicative che con precisione recitano dimensioni, numero di ambienti, indici di vario
genere, ma il tetto superiore oltre il quale non è ammesso procedere alla ricerca di un ammissibile
grado di benessere psicofisico del detenuto.


Fig.5 – Canada: camere per mamme e bimbi. A destra, in orari prestabiliti, previa autorizzazione e
come  premio,  è  possibile  accedere  alla  piscina.  I  piccoli  particolari  di  arredo  che  
costituiscono l’ambiente-cella, quali la tenda alla finestra, il tavolo, la sedia e l’armadietto,
costituiscono piccoli segnali  di  comfort  e  di  servizio  che  vengono  concessi  al  detenuto  
a  seguito  di  un  riconosciuto miglioramento comportamentale.

Behaviourism e creatività18
In  tal  senso  è  evidente  che  il  percorso  metodologico  non  può  che  essere  fondato  su  
quanto  è previsto nella prima dichiarazione Americana dei Diritti dell’Uomo del 1776, nella
proclamazione dei  Principi  nella  Rivoluzione  Francese  del  1789,  nel  Patto  della  Società  
delle  Nazioni  Unite Covenant  del  1920,  nella  Dichiarazione  Universale  dei  Diritti  Umani19
 nella  sede  delle  Nazioni Unite,   nella   Convenzione   Europea   dei   Diritti   dell’Uomo,   
nella   Carta   Costituzionale   della Repubblica,  nella  normativa  specifica.  Tutto  questo  
complesso  di  disposizioni  e  proponimenti
18   Op.Cit.
19     L’art.  5  della  Dichiarazione  così  recita:  “nessun  individuo  potrà  essere  
sottoposto  a  tortura  o  a  trattamento  o  a punizione crudeli, inumani o degradanti”.
































































13

rappresenta l’ideale asticella al di sotto della quale non è consentito, per uno Stato civile,
scendere. Al contrario, ciò che rappresenta la vera sfida metodologica per le istituzioni, per il
legislatore, ma anche per il progettista, è comprendere quanto possa essere legittimamente posto
con ragionevole misura al di sopra di questo limite. In tal senso è appena il caso di ricordare che
la pena dovrebbe consistere nella sola limitazione della libertà di movimento: quindi il  
confinamento  all’interno di ambienti più o meno articolati da cui non è consentito uscire, non
altro. In quanto solo restrittiva della libertà di libero trasferimento in altro luogo, la pena,
nel rispetto dell’inalienabile principio del ristoro  della  vittima,  non  prevede  affatto  che  
si  accompagni  ad  essa  anche  la  diminuzione  dello spazio al minimo di un accettabile grado di
vivibilità.













Fig.6 - Leoben Justice Centre nella Stiria in Austria. La facciata esterna del carcere e un
corridoio di servizio. Ciò che rende particolarmente interessante ed unico nel suo genere questo
complesso penitenziario  è  lo  spazio  e  la  “trasparenza”  ambientale.  La  quasi  totale  
rinuncia  a  componenti percettivamente “dure”, quali sono i cancelli, le inferriate e gli
sbarramenti (elementi caratteristici del  carcere  classico)  connota,  attraverso  il  nuovo  
significato  spaziale  e  materico,  un  esplicito valore di fiducia e dichiara una civile
considerazione nei confronti del particolare tipo di “ospite”. La dignità dello spazio e
dell’ambiente è strettamente legata al valore umano del detenuto e dei suoi diritti.

La ricchezza ambientale come risorsa sistemica

L'ambiente di nuovo diviene una componente fondamentale nella emergenza della consapevolezza
sociale ed ecologica e nel miglioramento delle capacità sistemiche dell'individuo nel momento in
cui si integra in contesti più resilienti e persistenti nel tempo. Volgiamo ora l'attenzione
all'ambiente come stimolo allo sviluppo di adeguate capacità cognitive per la gestione dei
problemi. E’ qui utile recuperare  il  concetto  di  ambiente  arricchito,  che  può  essere  
inteso  come  "una  combinazione  di stimoli  complessi  sociali  e  inanimati".  Il  termine  
Enriched  Environment  (ambiente  arricchito)  fu coniato per la prima volta da Rosenzweig negli
anni '60, proponendolo come contesto sperimentale opposto a quelli, allora più utilizzati, fondati
sulla deprivazione sensoriale (ambiente impoverito). Il significato reale dei protocolli
sperimentali cosiddetti "arricchiti" è stato molto dibattuto, dato che gli  ambienti  valorizzati,  
impiegati  nei  protocolli  sperimentali,  apparivano  essere  in  realtà  molto simili  agli  
ambienti  naturali  di  provenienza  degli  animali,  ed  il  loro  concetto  di  arricchimento
poteva dunque avere un  significato solo relativo a quello di impoverimento. “Questi aspetti sono
stati  comunque  chiariti  sia  in  contesti  sperimentali  animali,  dove  la  presenza  di  un  
ambiente arricchito  si  è  correlato  con  una  aumento  delle  spine  dendritiche  dei  neuroni  
corticali  rispetto  le
































































14

condizioni  di  normale  socialità  o  di  isolamento,  sia  in  recenti  studi  su  neonati,  dove
 lo  stimolo periodico  tattile  velocizza  la  maturazione  delle  vie  visive,  e  su  uomini  
adulti,  dove  l'esercizio cognitivo ed una costante attività fisica si sono correlati con un
mantenimento di prestazioni mentali simili ai soggetti giovani”20.












Fig.7  -  I  cosiddetti  “ambienti  arricchiti”  presentano  una  complessità  di  stimoli  
sensoriali  e cognitivi  in  un  contesto  di  vita  sicuro  e  prevedibile,  mentre  gli  ambienti
 impoveriti  presentano isolamento sociale e assenza o scarsità di stimolazioni cognitive ed
affettive.
















Fig.8   -A parità di consumo di cibo, gli animali posti all’interno di ambienti arricchiti  
mediante varie stimolazioni sensoriali, mostrano avere una ramificazione delle cellule neurali più
estesa e complessa, rispetto ad altri animali in ambienti impoveriti.
Etica della responsabilità e qualità della salute

Il  progettista,  che  con  gli  spazi  e  le  dimensioni  degli  stessi  lavora  utilizzando  vari
 strumenti (tecnologie, materiali, colori, illuminazione naturale e artificiale, misure,
proporzioni e forme, ecc.) pur nel rispetto delle norme che stabiliscono per taluni ambienti il  
minimo dimensionale21 oltre il quale non è consentito scendere, deve porsi l’interrogativo di fondo
che riguarda l’individuazione





























































20  Op.cit a cura di D.A.  dè Rossi e AA.VV. ed. Mursia 2016 Milano –  Pierluigi Marconi Cap. XII
pagg. 351 e segg.
21   Standard minimi di superficie per camera in rapporto al numero di detenuti.
15

dell’incerto   confine   che   separa   l’ammissibile   grado   di   benessere   
dall’insopportabile   sicuro malessere. Purtroppo la costruzione architettonica, benché sia
strettamente dipendente dalle diverse normative,  dalle  disposizioni  tecniche  governative,  
rappresenta  per  il  progettista  lo  strumento  e l’oggetto  finale  che  richiede  lo  
scioglimento  e  la  soluzione  di  simili  interrogativi.  E’  rimesso pertanto nelle mani di
colui che deve concepire il progetto il compito di sostenere decisioni tecniche ammissibili che
comunque si conformino, oltre che ai dettami normativi, anche agli obiettivi finali insiti  nel  
proposito  detentivo,  che  non  è  solo  remunerativo  nei  confronti  della  parte  lesa  ma  al
contempo  teso  al  recupero  civile  dell’individuo  condannato.  Anche  l’edilizia  
penitenziaria,  nella sua  auspicabile  e  corretta  tendenza  a  farsi  “architettura  
penitenziaria”,  cioè  linguaggio  edilizio qualificato, può contribuire, nei limiti impostigli
almeno in parte, alla soluzione di simili problemi. Proprio  queste  domande,  pertanto,  obbligano
 il  progettista  a  compiere  fin  dall’inizio  una  ben orientata scelta di campo; che in
partenza sia culturalmente radicata sul principio del recupero e del diritto   alla   
riabilitazione   dell’individuo   in   conformità   alla   Dichiarazione   del   1948;   che
successivamente  sostenga  nell’azione  professionale  pluridisciplinare  il  ruolo  etico  ed  
umanitario, riscoprendo che anche l’esercizio applicativo destinato alla progettazione di istituti
penitenziari può essere di ausilio alla risoluzione di questi gravi problemi sociali.
Diritti Umani e consapevolezza progettuale

Soprattutto  in  questo  caso,  l’unico  e  vero  punto  di  partenza  per  colui  che  compie  il  
lavoro  di progettista,  la  grande  piattaforma  ideologica  cui  occorre  fare  costante  
riferimento  per  potersi correttamente  orientare  nei  meandri  dei  possibili  modi  di  
applicare  l’azione  detentiva  per  mezzo dell’oggetto  edilizio,  non  può  che  partire  dal  
codice etico  della  Dichiarazione  dei  Diritti  Umani, dalla   Carta   dei   Diritti   
Fondamentali   dell’Unione   Europea,dalla   Carta   Costituzionale   della Repubblica  Italiana  e
 dalla  specifica  normativa  che  ad  essa  si  conforma.  Fatte  queste  asserzioni, possono
essere posti alcuni quesiti intorno al problema del fare architettura nell’ambito dell’edilizia
penitenziaria. Se, sulla scorta di quanto la storia recente ci ha consegnato, ci si è
sufficientemente resi conto che il dibattito attorno al problema carcerario si è venuto fortemente
evolvendo in termini di  civiltà  del  diritto  intorno  alla  metà  del  ‘700  grazie  agli  
interventi  dei  vari  filosofi,  giuristi  e filantropi  che  hanno  riconosciuto  al  condannato,
 oltre  alla  capacità  del  pentimento,  anche  la possibilità del recupero e di una rieducazione
ai fini di un reinserimento sociale, non costituirebbe grande difficoltà il comprendere che la
progettazione prima e la costruzione di un penitenziario poi, dovrebbero  essere  volte  a  creare  
fisicamente,  quelle  condizioni  migliori  tecnico-funzionali  che possano al meglio garantire le
suddette finalità. Da queste considerazioni generali apparentemente astratte e di sapore quasi
ideologico, deve partire innanzitutto la formazione di una specifica cultura ad  hoc  per  meglio  
indirizzare  una  matura   coscienza  progettuale  nei   tecnici  nella  fase  del concepimento  
della  forma  e  nell’organizzazione  degli  spazi  più  rispondenti  alle  esigenze  del recupero
e della rieducazione. Tutto ciò che è contrario a questo metodo e che non si ispiri a questi
principi,  è  fuori  della  norma  della  civiltà  giuridica  consolidata  e  condivisa  dai  Paesi
 civili  e democratici. Non sarà certo solo dalla lettura della normativa indicante le misure, le
grandezze, le dimensioni  e  dall’apprendimento  del  numero  minimo  di  ambienti  che  si  
formerà  la  cultura progettuale necessaria alla ideazione di un organismo architettonico destinato
a penitenziario. E’ da ritenere invece necessario che un approccio corretto alla progettazione
debba contenere al proprio interno una solida e maturata consapevolezza attorno a questi grandi
problemi di carattere sociale ed umanitario.  Con  riguardo  alle  interazioni  tra  l’architettura
 e  la  salute  in  carcere,  ivi  compresi  gli aspetti relativi alle relazioni affettive e le
situazioni ancora più delicate riguardanti la detenzione di
































































16

madri  con  al  seguito  figli  di  età  inferiore  ai  tre  anni,  occorre  analizzare  senza  
preconcetti  né ideologismi la situazione esistente, nonché proporre soluzioni idonee a
contemperare gli assunti del vigente dettato normativo col “vissuto” penitenziario, con la
necessità ineliminabile di continuare a rendere  realmente  operante  l’esercizio  paritario  di  
funzioni  costituzionalmente  tutelate  (quelle relative al diritto alla salute fisica e mentale
dell’individuo e quelle riguardanti la sicurezza della comunità nazionale). Ciò comunque secondo un
maggior rispetto della dignità della persona anche quando reclusa, perché chi sconta una pena non
perda i diritti fondamentali quale individuo e ruolo genitoriale,  mantenendo  il  diritto  di  
aspirare  ad  opportunità  di  riscatto  che  non  debbano  essergli arbitrariamente  negate;  che  
non  debbano  essere  negate  a  coloro  che,  come  i  figli  dei  detenuti, abbiano sulle spalle
gravami sociali, culturali e psicologici tali da insidiare il loro futuro quando da adulti dovranno
inserirsi nel contesto sociale.












Fig.9 -  Stanze in un carcere per rapporti coniugali

Detenzione, salute psicofisica e sessualità: ossimoro o diritto costituzionale?

In  altri  Paesi,  viene  particolarmente  curato  l’aspetto  architettonico  e  ambientale  che  
deve  poter essere  in  grado  di  consentire  a  coloro  che  sono  in  condizioni  di  privazione
 della  libertà,  di mantenere una sana vita sessuale ed affettiva garantendo rapporti con il
partner o con il coniuge, nei modi  e  nei  termini  consentiti.  Taluni  istituti,  non  solo  
europei  e  di  più  avanzata  concezione, dispongono di idonei ambienti igienicamente controllati,
in taluni casi anche mini appartamenti, ove è permesso l’incontro intimo con il partner. Tale
consuetudine, oltre ad essere osservante del diritto alla  sessualità  (uno  degli  elementi  
fondamentali  della  vita  umana)  e  al  mantenimento  di  legami affettivi, svolge un importante
e sano rapporto nei confronti della persona in stato di detenzione che vede   rispettati   i   
propri   diritti   fisiologici   e   affettivi   con   ciò   contribuendo   al   recupero
comportamentale dell’individuo così come anche previsto dall’art 27 della Costituzione, purtroppo
non solo in tal caso, frequentemente disatteso nel nostro Paese. La privazione e la negazione della
sessualità  in  carcere  provoca  nell’individuo  ristretto  sofferenza  e,  a  lungo  andare,  
grave  disagio psichico,  deteriorando  nel  tempo  gli  stessi  legami  famigliari,  aggiungendo  
alla  criticità  presente all’interno  della  detenzione  ulteriori  aggravamenti  all’esterno  nel
 rapporto  col  partner:  crisi coniugale, sofferenza indotta a carico dei figli, crisi
generalizzata su varie componenti umane. Non ultimo tra i vari aspetti, l’emergenza di nuovi
comportamenti sessuali all’interno del carcere imposti dalla deprivazione e dalla mancanza di una
continuità di relazione affettiva con il partner o con il coniuge. In Francia e non solo, ma in
buona parte del nord Europa, all’interno di molti penitenziari si  è  provveduto  a  creare  
ambienti  per  consentire  i  rapporti  regolari  con  il  coniuge.  Piccoli
































































17

appartamenti,  completi  di  cucina  e  camera  da  letto  e  di  minisoggiorni  in  ambienti  
semiprotetti  a contatto con l’esterno,  consentono ai detenuti di poter gradire aspetti della
libertà di  amare. Tale procedura,  seguente  attenti  protocolli  collegati  al  comportamento  
dell’individuo  durante  la  sua permanenza in stato di detenzione, consente un percorso di
avviamento progressivo alla normalità e al recupero della senso di dignità personale persa, che
troppo spesso interviene sul detenuto in stato di carcerazione. Tale procedura contiene, oltre che
il principio premiale alla base del trattamento comportamentale, anche il riconoscimento di valori
negati da sempre con la carcerazione: gli affetti, la sessualità, l’amore.  La maggior parte dei
detenuti riferisce come la pulsione sessuale nei primi mesi in carcerazione sia assente, anche per
effetto di un primo stato depressivo, superato il quale avviene poi la ripresa normale del
desiderio praticando l’autoerotismo. Presto, non appagandosi più a   sufficienza,   il   desiderio  
 sessuale   finisce   inesorabilmente   al   rapporto   omosessuale.   Talora trasformandosi  anche
 in  mezzo  di  sfruttamento,  sottomissione  e  merce  di  scambio.  Per  molti detenuti,  questo  
vero  e  proprio  abbrutimento  e  depersonalizzazione  ha  effetti  devastanti,  non
riconoscendosi  più  nei  propri  comportamenti  essi  tendono  alla  dissociazione,  con  palesi  
ricadute psico-fisiche e la nascita, spesso, di psicopatie che talvolta causano violenza verso se
stessi con atti di autolesionismo o suicidari. Molto saggiamente il Consiglio dei Ministri europeo
ha raccomandato agli Stati membri di permettere ai detenuti di incontrare il/la proprio/a partner
senza la sorveglianza visiva  durante  la  visita.  (Raccomandazione  R(98)7,  regola  n.  68).  
Parimenti,  anche  l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa  ha sollecitato la  
raccomandazione di mettere a disposizione dei  detenuti  dei  luoghi  speciali  per  coltivare  i  
propri  affetti  -  Raccomandazione  1340  del  1997  - relativamente alle serie conseguenze della
detenzione sui piani familiari e sociali).
























Fig.10  -  Ambiente  di  soggiorno  per  consolidamento  dei  rapporti  di  famiglia.  Da  notare  
la determinante cura della camera
































































18

Fig.11  –  Francia,  sopra  a  sinistra,  alcuni  messaggi  educativi  disposti  lungo  i  
corridoi.  Le  foto sopra e nella fig. 12 rappresentano i due lati di un ambiente semi-esterno, una
sorta di veranda coperta con affaccio sul verde, veri e prorpri mini appartamenti destinati al
trattamento premiale relativo al recupero del rapporto detenuto/famiglia.














Fig.12 – Francia, sopra, immagini del “modulo di accoglienza” trattamentale relativo al recupero
del  rapporto  detenuto/famiglia.  Nella foto  a sinistra  il banco  per  la zona  cucina,  
completamente provvisto di tutti gli accessori. Al centro la doccia e i sanitari wc in altro
ambiente, a destra la camera da letto matrimoniale

Diritti umani, salute e rispetto dell’affettività

Che lo Stato, in forza delle proprie leggi, possa regolamentare in tal senso anche questi aspetti
così sensibili  appartenenti  alla  dignità  umana,  è  cosa  che  incide  profondamente  nella  
percezione valoriale del detenuto nella sua permanenza in carcere. In tal modo facendogli
riconoscere che la detenzione può essere vissuta come occasione di autoricostruzione e non come
percorso distruttivo del  proprio  sé  e  della  propria  affettività.  Di  norma  purtroppo,  le  
restrizioni  che  intervengono all’ingresso  e  durante  la  carcerazione  non  si  limitano  alla  
primaria  privazione  della  libertà,  ma vanno oltre, esigendo la sospensione dei rapporti umani
stroncando duramente le relazioni familiari ed  intimo-affettive.  In  ordine allo  svolgimento  
dei  colloqui  visivi  in  carcere,  la  disciplina  dettata dagli  artt.  18  o.p.  e  37  reg.  
es.  dispone  che  essi  avvengano  sotto  il  controllo  visivo  costante  del












































19

personale  di  custodia,  all’interno  di  locali  appositi  o  aree  all’aperto  (sempre  facenti  
parte  della struttura penitenziaria). Con tale disciplina in alcun modo il diritto all’affettività
e all’intimità del detenuto  con  il  proprio  partner  vengono  viene  tutelato.  Diritto  che  
alla  luce  di  quanto  garantito dall’art. 2 della Costituzione sembrerebbe anch’esso essere
meritevole di difesa, oltre che nel diritto al mantenimento dei rapporti affettivi e familiari in
carcere (artt. 29, 30 e 31 Cost.) e nel principio della finalità rieducativa della pena (art. 27
comma 3 Cost.). Ciò considerato, l'affettività in carcere rappresenta  solo  uno  degli  elementi  
fondamentali  facenti  parte  del  complesso  del  trattamento rieducativo per almeno tre ragioni
distinte e concordi: una di diritto, una di medicina e una di fatto. Una volta scontata la pena, la
famiglia, è bene non dimenticarlo, rappresenta allo stato l'unico vero argine alla devianza.

detenuti











































visite coniugali
















































Fig. 13 - Sopra dettaglio della pianta22 con i quattro padiglioni destinati ai colloqui con i
visitatori: Giudici A2. Avvocati A22. Rapporti col coniuge A24. Famiglie A21.
L’istantanea  interruzione  del  flusso  degli  affetti  e  dei  rapporti  umani  ad  un  singolo  
individuo, separandolo  dalla  sua  storia  personale,  significa  troncare  quelle  dimensioni  
sociali  che  lo  hanno generato,  nutrito  e  sostenuto.  Di  anno  in  anno,  il  carcere  così  
strutturato  viene  a  distruggere l’identità sociale del detenuto  con scientifica crudeltà. Tutti
ormai, al di là delle ipocrisie  e delle ideologie sessuofobiche, sono concordi nel riconoscere che
l’attività sessuale nell’uomo rappresenta un  ciclo  organico  che  non  è  possibile  interrompere
 (o  peggio  cancellare)  senza  determinare  nel





























































22  Tratto dal progetto per un penitenziario redatto nel 2004 per un paese estero (progettista
arch. D.A. dè Rossi) – pubblicato su “L’Universo della detenzione, storia, architettura e norme dei
modelli penitenziari” Mursia 2011
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soggetto, in ogni caso, dei traumi sia fisici che psichici. E’ accertato che non pochi individui,
che prima  dell’incarcerazione  avevano  sempre  avuto  un  comportamento  eterosessuale,  a  causa
 della promiscuità e della violenza della vita nel penitenziario, a fronte del turpiloquio e delle
oscenità di cui diventano obbligati spettatori, subiscono un lento inevitabile processo di
depersonalizzazione e di  conseguenza  un  progressivo  adattamento  al  costume  medio,  
contraddistinto  dal  codice  della subcultura carceraria (regole non scritte, vigenti tra i
detenuti). Ad oggi, 31 su 47 Stati componenti il  Consiglio  d’Europa,  attraverso  svariate  
procedure,  hanno  previsto  nel  proprio  ordinamento interno  la  possibilità  per  coloro  che  
sono  in  stato  di  detenzione l’accesso  a  visite  affettive  con  il proprio partner.
percorso detenuti






































uscita                                    ingresso

esterno visite coniugali                     percorso interno visite coniugali













































Fig.  14-  Sopra,  i  disegni  si  riferiscono  al  blocco  A24  (in  scuretto  area  destinata  al
 rapporto riservato  per  gli  incontri  coniugali  fig.  13)  e  ingrandiscono  la  zona  di  
accesso  e  controllo  dei visitatori  esterni,  la  sala  di  attesa  generale,  i  servizi.  A  
destra  nel  secondo  disegno,  sono rappresentate le unità separate per i rapporti intimi. In
basso, ingrandito, il blocco delle stanze e i ssietema dei servizi igienici a ingressi separati.
L’organizzazione del blocco prevede l’accesso e le uscite con percorsi distinti per detenuti e
familiari visitatori. Le stanze sono provviste di letto e di locale W.C. separato. Op.cit.
E’  peraltro  significativo  ed  è  appena  il  caso  di  ricordare  che  Russia,  Francia,  
Olanda,  Svizzera, Finlandia,  Norvegia,  Austria,  Germania  e  Svezia,  negli  istituti  
penitenziari  siano  stati  approntati miniappartamenti dove il detenuto è autorizzato a vivere per
alcuni giorni con la famiglia. Già dal 1980 in Canada, con pianificati protocolli trattamentali, le
visite coniugali avvenivano all’interno di apposite case mobili poste all’esterno del
penitenziario. Fin dagli anni ’90, in un campo di lavoro
































































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del Mississippi negli USA gli “inmates”, i prigionieri, possono ricevere visita di una
“professionista del  sesso”.  In  Italia  il  solo  modo  per  consentire  al  detenuto  di  
mantenere  relazioni  intime  con  il proprio  partner,  è  quello  del  permesso  premio,  che  
gli  permette  di  trascorre  un  breve  periodo  in famiglia23.Il  permesso  viene  concesso  dal  
Magistrato  di  sorveglianza  e  non  a  tutti  i  detenuti,  ma solo ai condannati che hanno
tenuto regolare condotta e non risultano socialmente pericolosi24. In Italia, con la proposta di
legge 653/86 (poi abrogata), si è voluto considerare l’ipotesi di introdurre degli appositi
ambienti per l’amore, in modo che il detenuto potesse mantenere un legame di coppia preesistente.
E’ più che evidente che l’argomento abbia suscitato troppe perplessità, tanto da essere messo
subito da parte. Su ricorso di un detenuto, il Magistrato di sorveglianza di Firenze, sollevò
eccezione  di  costituzionalità  in  merito  all’art.  18  o.p.  ove  si  prevede  il  controllo  a
 vista  e  non auditivo del colloquio, in quanto impedirebbe di avere rapporti intimi, non esclusi
quelli sessuali, con  il  partner,  violando  gli  artt.  2,3,27,29  e  32  della  Costituzione,  
oltre  a  varie  altre  fonti sovranazionali. Con Sent. N.301/2012 la Corte Costituzionale,  
nonostante ritenesse inammissibile la  questione  costituzionale,  nel  sottolineare  che  il  
controllo  visivo  da  solo,  una  volta  eliminato,





















23  Massimo quindici giorni per ciascuna autorizzazione e non più di 45 giorni l’anno  (cioè 3
permessi premio).

24   Il  Consiglio  dei  Ministri  del  27  settembre  2018,  su  proposta  del  Ministro  della  
giustizia  Alfonso  Bonafede,  ha approvato,  in  esame  definitivo,  i  Decreti  Legislativi  che,
 in  attuazione  della  legge  delega  per  la  riforma  del  Codice penale, del Codice di
procedura penale e dell’ordinamento penitenziario (legge 23 giugno 2017, n. 103), introducono nuove
 disposizioni  relative  all’ordinamento  penitenziario  e  all’esecuzione  delle  pene  nei  
confronti  dei  condannati minorenni. Di seguito i punti principali dei provvedimenti approvati:

A)  Riforma  dell’ordinamento  penitenziario,  in  materia  di  assistenza  sanitaria,  
procedimenti  e  vita  penitenziaria  in attuazione della Delega di cui all’articolo 1, commi 82,
83 e 85, lettere a), d), i), l), m), o), r), t) e u), della legge 23 giugno 2017, n. 103.

Il decreto introduce disposizioni volte a modificare l’ordinamento penitenziario, con particolare
riguardo all’assistenza sanitaria,  alla  semplificazione  dei  procedimenti  per  le  decisioni  
di  competenza  del  magistrato  e  del  Tribunale  di sorveglianza,  nonché  alle  disposizioni  
in  tema  di  vita  penitenziaria.  Il  testo  approvato  fa  seguito  ai  pareri  contrari
espressi  dalle  competenti  Commissioni  parlamentari  circa  il  precedente  assetto  complessivo
 della  riforma  ed  è contrassegnato,  in  particolare,  dalla  scelta  di  mancata  attuazione  
della  delega  nella  parte  volta  alla  facilitazione dell’accesso alle misure alternative e alla
eliminazione di automatismi preclusivi alle misure alternative alla detenzione in  carcere.  In  
tema  di  assistenza  sanitaria  in  carcere,  la  revisione  tiene  conto  della  esigenza  di  
risposta  alle  nuove necessità di tutela della salute e afferma in modo chiaro il diritto di
detenuti e internati a prestazioni sanitarie tempestive e appropriate. Si interviene poi sulle
norme che disciplinano il procedimento di sorveglianza, in funzione di una sua complessiva
accelerazione. Infine, si introducono specifiche norme volte a rafforzare i diritti di detenuti e
internati, con particolare  riguardo  al  principio  di  imparzialità  dell’amministrazione  
carceraria  e  al  contrasto  a  ogni  forma  di discriminazione, ivi comprese le discriminazioni
dovute al genere o all’orientamento sessuale.

B)  Riforma dell’ordinamento penitenziario in materia di vita detentiva e lavoro penitenziario in
attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 82, 83 e 85, lettere g), h) e r), della legge
23 giugno 2017, n. 103

Il  testo  concretizza,  in  particolare,  le  disposizioni  relative:  all’incremento  delle  
opportunità  di  lavoro  retribuito,  sia intramurario sia esterno, nonché di attività di
volontariato individuale e di reinserimento sociale dei condannati, anche attraverso il
potenziamento del ricorso al lavoro domestico e a quello con committenza esterna, aggiornando
quanto il detenuto deve a titolo di mantenimento, nonché alla maggiore valorizzazione del
volontariato, sia all’interno del carcere sia in collaborazione con gli  uffici  di esecuzione
penale  esterna; al  miglioramento della  vita carceraria, attraverso  la previsione  di  norme  
volte  al  rispetto  della  dignità  umana  mediante  la  responsabilizzazione  dei  detenuti,  la  
massima conformità della vita penitenziaria a quella esterna.
































































22

23
comunque non consentirebbe l’obiettivo aspettato, in quanto per le visite occorrerebbe predisporre
una disciplina ad hoc (modalità, destinatari, numero, durata, misure organizzative), ha richiamato
l’attenzione del legislatore circa la problematica dell’affettività in carcere, in considerazione
altresì di  quanto  assunto  da  molti  altri  Stati  che  riconoscono  al  detenuto  il  diritto  
all’affettività,  non escludendo quello della sessualità intramuraria.
Gli Stati generali sull’esecuzione penale

In  riferimento  alla  sentenza,  recentemente,  anche  gli   Stati  generali  sull’esecuzione  
penale25 (confronto  multidisciplinare  voluto  dal  ministro  Orlando),  hanno  espresso  generici
 pareri  circa l’introduzione  delle  stanze  dell’affettività  o,  più  pudicamente,  con  
dissimulatrice  terminologia inglese, meglio indicate come “love rooms”26. La commissione individuò
altresì talune modalità per la  realizzazione  di  spazi  riservati,  prevedendo  ambienti  
speciali  anche  all’interno  degli  istituti, mediante  unità  abitative  dedicate,  separate  
dalla  zona  di  detenzione.  Come  per  altre  buone iniziative,  anche  attorno  a  questa  
tematica  sensibile  furono  sollevati  -  molto  prima  degli  Stati generali  -  problemi27  
inerenti  il  delicato  rapporto  tra  salute,  diritti  umani  e  organizzazione
“funzionale/spaziale”.  Con  ciò  rimandando  il  delicato  problema  direttamente  
all’organizzazione architettonica  degli  istituti  di  detenzione  come  concezione  risolutiva.  
Purtroppo  anche  dopo  gli l’evento  Stati  generali,  il  problema  della  affettività  e  della  
sessualità  in  carcere,  come  per  altri fondamentali aspetti riguardanti la difesa della
famiglia, dei minori e delle identità di genere, il tutto è tornato al punto di partenza. Visti i
risultati, che non ci sono stati, verrebbe da pensare che si siano utilizzate  quelle  giornate  di
 lavoro  al  solo scopo  di  agitare  questioni  e  dibattiti,  senza  riguardo  o reale  interesse
 politico  volto  alle  soluzioni  dei  problemi.  Solo  in  via  del  tutto  sperimentale  sono
state recentemente edificate alcune stanze per l’affettività nel carcere di Milano Opera, composte
da un  ambiente  cucina,  tavolo,  sedie,  divano  e  TV.  I  detenuti  ammessi  possono  
soggiornare  per  un intero giorno in questi spazi destinati e in piena riservatezza, sperimentando
di fatto quelle forme di affettività “normale” che hanno lasciato fuori dal carcere a seguito della
condanna.
Uomini e donne in stato di reclusione

L’uomo  è  struttura  sensibile  e,  anche  quando  non  se  ne  accorge,  interagisce  con  il  
suo  ambiente culturale e fisico. Tradizionalmente, chi pianificava la casa o la città ha contato
spesso su processi intuitivi e sulla scorta dell’esperienza accumulata nel tempo per ottenere le
risposte desiderate. Di recente una collaborazione più stretta tra l'architettura, le scienze
sociali e della comunicazione, ha permesso  di  applicare  più  vaste  risorse  informative  per  i
 problemi  pratici  della  progettazione  da applicare a specifici settori. Tuttavia, ancora oggi
anche attorno a tematiche di largo interesse ed attualità, il progettista in cerca di informazioni
e di documentazione specializzata in materia edilizia trova,  perfino  a  livello  accademico,  una
 significativa  scarsità  di  dati  scientifici  sugli  uomini-in- stato-di-reclusione28.
25   18-19  aprile  2016-Evento  conclusivo  degli  Stati  Generali  dell'Esecuzione  penale.  Due  
giornate  di  lavori  presso l'auditorium della casa circondariale di Roma Rebibbia "Raffaele
Cinotti".
26  Il ricorso ipocrita alla definizione inglese (love rooms) adottato dal sistema politico
burocratico rappresenta meglio di tante altre considerazioni l’approccio culturale sessuorepressivo
e sessuofobico dell’attuale regime carcerario.
27  Cfr. “L’Universo della detenzione” del 2011 e “Non solo carcere” del 2016 Op.cit.
28                         016







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