ARCHITETTURA PENITENZIARIA
DIRITTI UMANI E QUALITA’ DELLA SALUTE
l’affettività in carcere: modelli da ripensare
Domenico Alessandro de Rossi
Il cervello, la mente e l’ambiente: un sistema interattivo
L’architettura, la costruzione di edifici o la pianificazione del territorio sono parte
delle diverse attività attraverso cui l’uomo trasforma, mantiene o degrada l’ambiente all’interno
nel quale vive. Queste alterazioni, insieme a molte altre legate per esempio all’agricoltura o alla
escavazione per trarre materiali dalla terra, vengono svolte nell’azione di antropizzazione
dell’habitat1 e sono le più varie. Sebbene tali interventi siano attuati allo scopo di adattare
l'ambiente (naturale) alle proprie esigenze e migliorare la qualità della vita, non è detto che
queste azioni abbiano sempre un impatto positivo sull'ambiente e quindi sull’uomo. Anzi, al
contrario, quando non sono ben ponderate, spesso hanno un effetto negativo, danneggiando
in maniera irreversibile il naturale equilibrio dell’ecosistema del quale parte integrante
è l’uomo. In tal senso la materia qui da osservare si presenta in termini
relativamente complessi in quanto vede più elementi molto diversi tra loro interagire
secondo flussi e dinamiche di segno opposto: da un lato, l’influenza che il sistema-
cervello-mente determina sull’ambiente (soggettivistico); dall’altro, l’ambiente come
elemento modificante il sistema-mente-cervello (oggettivistico).
Lo stato dell’arte
L’interazione tra il comportamento umano e l’ambiente appartiene ormai di diritto allo studio delle
neuroscienze e di altre discipline collaterali, solo apparentemente distanti come l’architettura e
la progettazione dell’habitat: discipline che, anche se con ritardo, si stanno finalmente
affacciando al problema, seppur non avendo ancora sviluppato la necessaria sistematicità e
metodologia di base. L’architettura, branca dell’azione umana che struttura e modifica
l’ambiente all’interno di questo flusso orientato di informazione interattiva, è determinata a
monte dall’attività mentale-progettuale
1 D.A. dè Rossi e AA.VV – Habitat industria Energia, analisi della ideologia dell’habitat come
continuo temporale – zioni, Roma 1977
dell’uomo per rispondere alle sue esigenze. All’inverso, insieme al vasto campo delle
arti in generale, essa ha significative capacità di indirizzare, orientare e modificare
il comportamento umano avvalendosi di varie tipologie di stimoli sensoriali e culturali
forse ancora non del tutto esplorati, noti o sistematizzati in senso semiotico. Proprio
in merito alla semiosi, è giusto qui ricordare Vitruvio, il grande architetto vissuto ai
tempi di Augusto, che nel suo trattato in dieci libri De Architectura, nel definire questa
“arte” con la chiarezza del ragionamento latino, la riporta all’interno dei suoi
precisi termini di significatività. Con sorprendente intuizione di
sistematizzazione metalinguistica utilizzata con largo anticipo rispetto agli approcci successivi
dei più moderni linguisti, il trattatista scrive: “Cum in omnibus enim rebus, tum
maxime etiam in architectura haec duo insunt: quod significatur et quod significat”2. In questa
breve introduzione riguardante l’ambiente naturale e antropizzato e le diverse relazioni che si
determinano in modalità interattiva nel comportamento dell’uomo, nel fare riferimento anche
alla prossemica3 e alla psicologia della forma, più avanti si osserverà quanto l’architettura e
lo spazio da essa creato viene a condizionare l’individuo, specialmente in situazioni di
contenimento quali sono le carceri o altri tipi di ambienti restrittivi. Le relativamente
recenti discipline citate, ma più ancora un nuovo approccio sistemico in cui sia più marcato
l’interesse olistico di meglio legare tra loro i fenomeni e le conoscenze, possono aiutare il
progettista e auspicabilmente coloro che vivono e lavorano all’interno o in prossimità
di queste particolari strutture, a sviluppare sempre più una consapevolezza
allargata riguardante il ruolo e l’influenza che l’ambiente fisico assume in
particolari circostanze. Questo nuovo modo di riflettere sul ruolo dell’habitat e dei
suoi pesanti condizionamenti può aiutare meglio il recupero della persona ristretta, non come mero
accessorio, ma come elemento determinante contestuale in cui intervengono e si manifestano i vari
fenomeni di interazione tra contesto spazio temporale e psiche.
La prossemica: il significato “nella” distanza.
La prossemica4, occupandosi del significato della distanza e la psicologia della Gestalt per quanto
riguarda il valore e quindi degli aspetti qualitativi della forma percepita, indirettamente
introducono alla questione attuale della funzione dell’architettura penitenziaria e delle
necessarie attenzioni (progettuali) che debbono essere adottate affinché coloro che sono ristretti
non abbiano a soffrire danni alla salute oltre alla sofferenza per il tempo che viene
loro sequestrato per effetto della condanna. La prossemica è una non più recente disciplina
che si occupa di studiare il significato nelle distanze (e quindi delle vicinanze) tra soggetti
umani. Il comprendere il significato culturale che per l’uomo ha lo spazio attraverso i recettori
di distanza di cui dispone (occhi, orecchi, naso), nonché il ruolo informativo svolto dai recettori
immediati (pelle e muscoli) per la determinazione
2 “Perché come in tutti i campi, cosi in particolar modo in architettura sussistono questi due
concetti: il significato” e il significante”. Marco Vitruvio Pollione De Architettura – Edizione
Studio Tesi, Pordenone 1990.
3 Il termine inglese proxemics, derivato di proximity, "prossimità", è stato introdotto
dall'antropologo americano E.T.
Hall negli anni Sessanta del 20° secolo per indicare lo studio dello spazio umano e della distanza
interpersonale nella loro natura di segno. La prossemica indaga il significato che viene assunto,
nel comportamento sociale dell'uomo, dalla distanza che questi interpone tra sé e gli altri, tra sé
e gli oggetti, e, più in generale, il valore che viene attribuito da gruppi culturalmente o
storicamente diversi al modo di porsi nello spazio e di organizzarlo, su cui influiscono elementi
di carattere etnologico e psicosociologico. Nell'impostazione filosofica della
fenomenologia, il riconoscimento dell'intenzionalità della coscienza conduce alla nozione di
una spazialità umana non geometrica ma vissuta, che non può essere esplorata al di fuori del
rapporto costitutivo con il mondo. Da Prossemica – Universo Corpo – Treccani.
4 “L’Universo della detenzione” a cura di D.A. dè Rossi e AA.VV. ed. Mursia 2011 Milano – dè
Rossi, Cap. III pag. 116 Il significato della distanza
dello spazio termico, tattile, ecc., consente di scoprire come la sfera spaziale immediatamente
vicina all’uomo che via via si allarga, sia pregna di significati complessi e portatrice (anche) di
valori.
Lo spazio come “cultura”. Anche in questi casi
L’approccio prossemico, a questa decodificazione dello spazio come cultura
(antropologica), permette di capire, con discreta attendibilità, come ad esempio il tono della
voce, la distanza del nostro interlocutore, la sua e la nostra gestualità, la posizione e
l’orientamento dei piedi, l’agitare delle sue e delle nostre mani, fino al movimento stesso delle
pupille e di quelli che sono definiti i microsegnali della mimica facciale, non appartengano alla
casualità dei fenomeni ma rispondano a logiche tutte da scoprire e di cui è bene essere coscienti e
consapevoli. Queste norme non scritte, a cui tutti comunque inconsapevolmente ci sottoponiamo,
fanno parte del nostro patrimonio culturale e genetico, fanno sì che noi, più o meno
automaticamente, teniamo ad usare lo spazio in modo tale da attribuire ad esso un vero e proprio
“valore”. Parliamo ovviamente di un valore depositario di significati relativi quindi alla
nostra cultura, alla nostra origine, alla nostra età e condizione. La prossemica ci
spiega questi rigidi meccanismi e il loro relativo funzionamento5.
Fig.1 – “Convivenza” a sinistra e, nella foto a destra, esempio di “schermatura” della
latrina dalla “zona notte”6
Il capire perché esistono rigorose distanze fisiche al di sotto delle quali (se non
si ricoprono determinati ruoli e in certi contesti) non sia considerato legittimo
scendere è, per lo studioso dei significati spaziali, e perciò anche del progettista che si
occupa di edilizia penitenziaria, nozione determinante per la sua attività di ideazione dello
spazio. Le stesse relazioni fisiche spaziali tra gli individui sono portatrici di significati e, a
seconda dell’uso che ne facciamo, possiamo confermare o revocare il ruolo che esiste tra le
persone. Di qui partiranno più avanti le considerazioni più specifiche riguardanti le
relazioni affettive tra detenuti e mondo libero. In tal senso, anche le forme
5 Un altro esempio interessante è quello che mette in evidenza come razze umane e
culture diverse ammettano o rifiutino distanze più o meno ravvicinate tra individui: Il mondo
anglosassone in generale non accetta tra estranei, senza scatenare fastidiose forme d’imbarazzo,
dimensioni ravvicinate al di sotto di sessanta/settanta centimetri mentre invece nel mondo arabo
detta dimensione è di molto superata abbassandosi fino anche alla percezione degli odori personali
degli interlocutori (odore della pelle, dell’alito, ecc.). La distanza cambia misura se gli
interlocutori sono amici o ancora di più se sono consanguinei o innamorati. Esiste in tal
modo una distanza sociale diversa da quella personale e individuale la quale non può essere
modificata senza rischiare di recare forte imbarazzo o anche offesa.
6
http://www.pensalibero.it/il-ministro-orlando-ho-lavorato-in-questi-anni-per-dare-una-risposta-al-pr
oblema-delle- carceri-in-italia/ Articolo di D.A. dè Rossi
3
linguistiche assumono una particolare attinenza e precisa corrispondenza quando si
esprimono in “mantenimento delle distanze”, “salvaguardando le diversità”, “stando a debita
distanza”, ecc.
Diritti umani e barriere da rispettare
Linguaggio, espressione verbale e significati spaziali (formali, quindi gestaltici)
corrono di pari passo. E’ peraltro anche molto interessante comprendere cosa accade
quando, per ignoranza del codice spaziale o perché volontariamente vogliamo penetrare nella
sfera dell’altro, “buchiamo” la barriera prossemica, accorciando impropriamente i limiti e i
confini spaziali, creando di fatto indotte condizioni di stress, a lungo andare lesive della
salute dell’individuo. Dal momento che ci si aspetta che le distanze vengano rispettate (in base ai
codici relativi, alle circostanze e ai contesti) si creano delle attese conseguenti le quali, nel
caso in cui vengano infrante o violate, determinano vari tipi di reazioni che possono
andare dall’imbarazzo, all’angoscia fino alla più pericolosa aggressività a carattere
difensivo. Il sovraffollamento delle camere di detenzione delle carceri italiane-
locuzione più recente rispettosa rispetto alla precedente di cella – è causa della condanna
dell’Italia da parte della CEDU7 per il modo come detiene i ristretti.
7 “A fronte di questa emergenza, che ha una lunga storia di buoni propositi e di tanti ministri
della Giustizia che si sono avvicendati senza ottenere significativi risultati, si cominciò a
tentare di arginare il fenomeno provando ad aumentare la capienza dei penitenziari già dal
2001, ipotizzando soluzioni che prevedevano teoriche procedure di leasing
immobiliare e l’ingresso dei privati nella costruzione/gestione di nuovi istituti. Dal 2001 al
2006, tra proposte avanzate ed effettive realizzazioni è in Sardegna che si sono
concentrate misure forse un po’ più realistiche, segnatamente a Cagliari, Oristano,
Sassari, Tempio Pausania, Isili, Mamone e Is Arenas. Ma sarà proprio dal 2008 al 2011
che la fantasia dell’allora ministro della Giustizia, non trovando migliori soluzioni al
problema, trovò modo di esercitarsi al massimo escogitando ipotesi che prevedevano addirittura
carceri galleggianti su chiatte in ferro: un progetto industriale, basato su una bizzarra quanto
improponibile soluzione tecnica, ingenuamente fiducioso di poter risolvere il problema del
sovraffollamento in via definitiva (proposta di cui si è parlato nel capitolo III, avanzata al
Governo in alternativa agli istituti terrestri). La “brillante” ipotesi prevedeva l’attracco
fisso delle navi-prigione in vari porti italiani tra cui Genova, Livorno, Ravenna,
Civitavecchia, Napoli, Goia Tauro, Bari, Palermo. Fortunatamente l’idea naufragò nonostante
l’impegno progettuale della società armatrice, sia per il costo comunque alto, sia
per l’intrinseca insostenibilità del programma sotto il profilo gestionale ed
umano. In effetti, dal 2011 poco si è fatto di significativamente risolutivo,
anche perché la breve durata dei vari ministri della Giustizia, alternatisi ai vari governi
rapidamente susseguitisi nel tempo, non ha potuto apportare oggettivi aggiustamenti alla grave
situazione carceraria. Nel frattempo già alto si era levato il monito (in parte inascoltato) del
Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il quale senza mezzi termini di nuovo
sollecitava il Governo e il Parlamento ad attuare il più rapidamente possibile quelle
riforme che facessero uscire l’Italia dall’infamante situazione nella quale teneva esseri umani
all’interno delle carceri di Stato. Eventualmente non escludendo misure “sanatorie” anche più
radicali, politicamente osteggiate da non poche forze politiche che, per motivi diversi e di mero
consenso elettorale, non intendevano procedere con condoni e sanatorie su percorsi di indulto e
amnistia. (…) La sentenza pronunciata dalla Corte di Strasburgo nel gennaio 2013 rappresenta per
l’Italia, l’atto finale di una condanna senza attenuanti per il suo sistema penitenziario in
spregio al paese che fu di Cesare Beccaria e di tanti altri illuminati giuristi. Tutto nasce dalla
manifesta violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea, ovvero la proibizione di
“trattamenti inumani e degradanti” nei confronti di coloro che sono detenuti in
condizioni inaccettabili all’interno di celle di dimensioni insufficienti e con servizi
non idonei. Nel suo giudizio generale la Corte veniva considerando lo spazio minimo vitale per
un detenuto non soltanto in base ai metri quadrati a disposizione ma, molto correttamente, entrava
nel merito anche delle più generali condizioni di vivibilità, le quali determinavano situazioni
ambientali di inaccettabile degrado per i detenuti.
La natura “sistemica” della sentenza.
Con la decisione assunta, i giudici della CEDU constatavano inoltre che il problema del
sovraffollamento delle carcerari non poteva non essere che di natura “sistemica” (sic) e che il
problema apparente della mancanza di spazio nelle celle non riguardava solo i ricorrenti,
avendo la Corte già ricevuto al tempo più di 550 ricorsi da altri detenuti che
sostenevano di essere tenuti in celle dove avrebbero a disposizione non più di tre metri quadrati
(branda compresa) a persona. I giudici di Strasburgo, mentre da un lato si sono astenuti
dall’interferire con le scelte di politica penale dell’Italia, nel rispetto giustamente
dell’autonomia politica e della sovranità degli Stati contraenti, non hanno comunque voluto mancare
di sottolineare nella sentenza la necessità di considerare l’introduzione di opportune misure
alternative alla detenzione, ricorrendo se del caso alla incarcerazione solo quale extrema ratio
come misura di ultima istanza. La
4
Il significato della distanza
Le considerazioni sin qui svolte, utilizzando le conoscenze della prossemica, portano il
progettista di strutture destinate alla detenzione a compiere una analisi appropriata
circa il problema della dimensione e dei diversi ambienti da usare all’interno di questo tipo di
istituti anche ai fini della salvaguardia del diritto alla salute. Atteso che, per quanto si è
annotato, l’accorciamento al di sotto di una determinata soglia delle distanze fra esseri umani,
può provocare gravi stati di ansia e in ultimo di forte stress. Se poi, come spesso
avviene negli attuali penitenziari, vengono ad essere mescolati insieme individui
appartenenti a culture, tradizioni e religioni profondamente diverse, il problema della distanza si
pone in modo ancora più cocente e obbliga a riflessioni concernenti non solo lo spazio e le sue
dimensioni ma anche il criterio di attribuzione degli ambienti e di coloro che in base alla loro
cultura e tradizione vengono ad occuparli più o meno provvisoriamente. Si è ormai accertato che la
distanza dei sessanta/settanta centimetri tra esseri umani può essere grave motivo di disagio per
un anglosassone e misura accettabile per un individuo di cultura araba. Di qui i
problemi dell’affollamento, della densità abitativa, della capacità reale e non
teorica di accoglimento negli ambienti destinati alla detenzione: spazi che dovrebbero essere
pensati anche in base a tali principi, considerato che il rendere le condizioni di
permanenza all’interno di un penitenziario di fatto inaccettabili non favorisce certo il
cambiamento in senso positivo del recupero dell’individuo nel corpo sociale. Anzi, ciò può
determinare, oltre allo stress e la conseguente sofferenza, anche il consolidamento di un
profondo odio sociale verso lo Stato e le istituzioni che per primi non sono in grado di
garantire, con normali regole di convivenza civile, accettabili condizioni di vivibilità nel
periodo della detenzione.
Il rischio salute: la carenza dello spazio vitale
E’ su quest’ultima osservazione - intorno alla quale da molti anni e da differenti posizioni si
discute
– sulla quale anche il progettista deve riflettere correttamente cercando di adottare il più
possibile misure che salvaguardino il principio della sicurezza, del controllo, dell’economia e che
siano utili a diminuire le condizioni di stress e di sofferenza da carenza di spazio
vitale. Il carcere nel suo modello ideale dovrebbe poter tenere conto che l’impianto edilizio è
condizione fondamentale per la riabilitazione civile dell’individuo: sbagliata è l’idea che la
riduzione dello spazio possa essere un surrettizio elemento punitivo da accompagnare alla durata
della pena. Spazio e tempo in questo caso dovrebbero essere ben distinti e mai adoperati insieme
come spesso si è fatto, per costituire in modo più o meno coperto, forme diverse di
retribuzione penale, arrecando contemporaneamente grave danno alla salute e ai diritti del
detenuto.
Logica sistemica e cultura olistica
Il campo che si apre, quindi, è vastissimo e impegna più di una disciplina
specialistica come ad esempio la psicologia, la psichiatria, la farmacologia, la
sociologia, l’antropologia, la biologia, l’ecologia, l’architettura, la medicina e forse non
solo. E’ più che evidente che lo sforzo culturale in tal senso deve essere indirizzato e se
possibile gestito in una cultura olistica, prettamente incardinata su una nuova logica sistemica
dove venga superato il vecchio schema razionalista di tipo cartesiano
prevista compensazione pecuniaria per i danni morali subiti in violazione dell’articolo
3 della Convenzione è stata quantificata dalla Corte in una somma di circa 100.000 € per tutti
i detenuti ricorrenti”.
Cfr “Non solo carcere” cap. IX pag. 234 D.A. dè Rossi – Mursia 2016
5volto a spacchettare le ragioni dell’essere, polverizzando di fatto il fenomeno nella sua
complessità ed interezza. La psicologia ambientale connessa ai suddetti principi, affrontata nel
suo complesso da Robert Bechtel, ritiene che oggi essa rappresenti la terza rivoluzione
del pensiero, dopo quella copernicana e darwiniana. Infatti, come le altre, quest’ultima ci
indica con chiarezza che gli esseri umani sono soggetti alla natura, all’ambiente in cui vivono,
sono vissuti e dove hanno ricevuto le prime informazioni dall’ambiente.
La mappa cognitiva
La non più recentissima nozione di mappa cognitiva è un tentativo empirico di
descrivere una rappresentazione mentale dell’ambiente nel quale l’individuo si trova, si troverà o
in tempi diversi si è trovato. L’orientamento, ad esempio, è basato su questo schema
della psiche, all’interno del quale ciò che lo rende utile e significativo non è la precisione
“grafica”, quanto le caratteristiche qualitative dei diversi riferimenti. Ciò è tanto importante
per la definizione della qualità dell’habitat, sia esso inteso come città, quartiere, la
casa o ambiente naturale che dovrebbe impegnare il progettista (architetto o urbanista) a
tenere in debito conto dei riferimenti simbolico-spaziali atti a definire posizione, meta e
direzione motivata di ogni spostamento. L’elaborazione mentale di una mappa cognitiva, secondo
Lynch (1960) nel suo “The Image Of the Cit” MIT Press, si articola almeno su cinque
fattori fondamentali e rappresenta lo spazio secondo due tipologie: 1) sequenziale, quando mette in
fila le informazioni sull’ambiente8; 2) parallela, quando rappresenta la situazione a volo
d’uccello9. I fattori distintivi sono: a) distretti: aree o spazi funzionali distinti e
riconoscibili nel tessuto; b) percorsi: canali destinati al movimento; c) nodi: punti di
intersezione nella continuità della rete; d) margini: confini tra elementi diversi; e) segnali di
riferimento: emergenze simbolico rappresentative naturali o artificiali. Questi schemi impegnano
ovviamente la memoria e pertanto saranno più o meno precisi nella definizione della mappa
cognitiva in funzione del grado di attenzione e delle condizioni mnestiche a sostegno (memoria
uditiva, visiva, olfattiva..). All’interno del campo vastissimo nel quale ci siamo finora
inoltrati, riguardante le interazioni soggettive e oggettive dell’uomo, non possiamo
dimenticare altrettanti fattori che condizionano e regolano la presenza umana nel contesto
ambientale. Incorreremmo in un approccio superficiale se alle teorie, alle prassi progettuali, alle
metodologie, al sistema/flusso cervello-mente-ambiente e viceversa, non facessimo anche il
necessario riferimento a quelli che sono ulteriori fattori esterni, di contesto sociale,
antropologico e normativo. Questi elementi, tutti intervengono a tutela della salute umana e dei
diritti della persona ristretta, così come anche interessano direttamente i principi costituzionali
che tendono a proteggere l’individuo proprio nelle condizioni di detenzione.
Salute, architettura penitenziaria e modelli da ripensare
Traggo dal libro10 ”Non solo carcere” parte del capitolo dedicato al tema in oggetto: “In tal senso
è necessario esaminare alcune questioni riguardanti il complesso rapporto esistente tra
l’architettura, intesa come consapevole tecnica del costruire e la sua capacità
(o idoneità) di formulare
8 Schema derivante, ad esempio, quando si ricevono informazioni per gli indirizzi stradali (la
seconda a destra, dopo la piazza)
9 La rappresentazione delle carte geografiche, topografiche o le planimetrie di edifici e
appartamenti
10 “Non solo carcere, norme, storia e architettura dei modelli penitenziari” a cura di D.A. dè
Rossi e AA.VV. ed. Mursia 2016 Milano – dè Rossi Cap. III pagg. 81 e segg.
6correttamente gli spazi e le funzioni11 destinati alla detenzione. Problematica a prima
vista apparentemente assodata e di facile soluzione, ma in realtà ricca di contorni culturali
importanti a stento definibili e non sempre sostenuti da visioni unitarie largamente condivise.
Cosa sia l’edilizia penitenziaria sembrerebbe una domanda semplice se non ci ponessimo
l’interrogativo del come realizzare lo spazio-contenitore di un carcere e cosa possa
significare la vita all’interno di un penitenziario con i problemi connessi al
sovraffollamento, al rapporto con la città, al sistema delle reti trasportistiche, alla
funzionalità interna ed esterna, al deradicamento dei rapporti affettivi. La vita di un
condannato, che per un certo periodo di tempo è costretto a passare in prigione, ristretto e
obbligato all’interno di una camera e di un gruppo di edifici, talvolta in condizioni di isolamento
e/o in comunità, obbliga sempre il progettista a rivolgere la propria attenzione su una
graduatoria di considerazioni che necessariamente debbono partire dalla vasta problematica
concernente i “Diritti Umani”, per giungere agli “aspetti applicativi” dettati dalla
legislazione vigente nel quadro di riferimento costituzionale e dalla specifica normativa.
Elementi questi, tutti facenti capo ai vari organi dello Stato che hanno competenza distinta
nella materia penitenziaria. Da un lato, la pietra miliare dei Diritti Umani e dall’altro, le
diverse disposizioni applicative sono, talvolta, elementi posti ad una notevole distanza
tra loro, obbligando il progettista ad elaborazioni che non sempre trovano la loro risposta
nella rigida applicazione degli articolati forniti dai Dipartimenti competenti.
Fig.2 - Forme di violenza fisica molto prossime alla tortura, con esiti spesso mortali a seguito di
pestaggi violenti
Quando la “pietra” condiziona la mente
Quando la condanna penale si fa “materia e azione”, sostanza e gesto per sequestrare il tempo e lo
spazio al condannato, deve comunque realizzare e disporre di una struttura, di un luogo fisico
fatto di muri, di finestre, ambienti e luci, di scale e (possibilmente) di verde, in
un contesto sociale interattivo all’interno del quale la punizione deve essere scontata.
Ma se il pensiero determina l’azione dominando la materia, è anche possibile che la “pietra” di
cui è fatta la materia influenzi il pensiero, instaurando quel necessario processo retroattivo di
ri-condizionamento comportamentale previsto per la rieducazione del detenuto12. Per il
tramite del sillogismo sopra esposto, possiamo tornare al delicato rapporto concernente la
tipologia dello spazio architettonico e il suo diretto requisito di vivibilità in termini
di qualità: particolare attributo di un habitat all’interno scorgiamo il
11 Nel lungo elenco delle funzioni presenti all’interno dello spazio detentivo hanno o dovrebbero
trovare luogo anche ambienti destinati ai cosiddetti rapporti affettivi. Argomento questo
che verrà trattato in chiusura della presente trattazione
12 Schema retroattivo trattato in apertura della presente trattazione.
7necessario percorso che trasformi il carcere da “luogo-di-pena” (di fatto leggasi
“luogo-di- sofferenza”) a struttura di reclusione, correzione e riabilitazione comportamentale,
secondo il senso del dettato della Costituzione13. La consapevolezza del ruolo
importantissimo che hanno quindi l’ambiente, i materiali, la luce artificiale e naturale,
l’articolazione e i colori degli spazi e delle funzioni all’interno di una struttura
penitenziaria, ha fatto emergere con tutta evidenza che il carcere, per come si presenta
oggi in Italia - procedure trattamentali e ambienti edilizi, opportunità di apprendimento e
lavoro - infligge al condannato ed anche a coloro che nel carcere lavorano,
diversificati gradi di sofferenza, di disagio, depressione, disperazione, annientamento. Quando, se
non addirittura, forme di violenza fisica molto prossime alla tortura, con esiti spesso
mortali a seguito di pestaggi violenti. In tal senso, è giusto il caso di segnalare quanto viene
sottolineato nella relazione annuale da Amnesty International. Al centro del più recente
rapporto, evidenti sono le preoccupazioni per la perdurante assenza del reato di tortura non
ancora previsto nella legislazione italiana, così come la discriminazione nei confronti delle
comunità Rom e nei centri di detenzione per migranti irregolari e il mancato accertamento
delle responsabilità per le morti in custodia, a seguito d'indagini talvolta lacunose e
carenze nei procedimenti giudiziari. Anche in questo caso ci si attende da parte del parlamento
italiano un impegno ulteriore prima che perentoria giunga una nuova censura da parte della
Corte di Strasburgo”.14
La funzione dello spazio penitenziario
Di contro sappiamo che in tutti gli altri casi che non siano quelli della progettazione di un
carcere, normalmente l’attività svolta dal progettista nella maggior parte delle
situazioni è indirizzata ad immaginare spazi che possano offrire il massimo della
funzionalità, della comodità, del comfort, dell’estetica, in funzione delle risorse
disponibili sempre nella compatibilità dei limiti posti dall’esterno, non solo economici.
Ciò che si vuole affermare qui – per ricordare anche di recenti progetti di carceri varate dal
DAP - è che occorre (ri)conferire dignità e austerità al contenitore (nella sua
formulazione architettonica) per meglio attribuire rispetto ed importanza alla funzione
che al suo interno è esercitata15. Uno dei più grandi mali della società
contemporanea e dell’ambiente costruito, è quello di avere rinunciato a diffondere
valori autentici, condivisi e comprensibili anche nelle forme. L’architettura, nel suo essere
linguaggio e perciò cultura, godendo nel passato di un codice comprensibile a livello
sociale, svolgeva anche questo ruolo di grande comunicatore e di stabilità dell’assetto
sociale. Anche per lo studio di un modello di penitenziario, non essendo mai tutto scontato, nel
momento della progettazione il designer è chiamato a rivolgere (a se stesso) alcune domande. La
prima delle quali concerne la comprensione della “funzione-dello- spazio” facendo riferimento
alle sue molteplici espressioni presenti all’interno di un istituto di detenzione16. In
cosa consista l’attributo comunicativo dello spazio-ristretto dovrebbe essere una delle
prime domande a cui occorrerebbe dare una risposta certa.
Tra benessere e malessere, un limite da identificare
Quali sono i criteri minimi di funzionalità a cui deve attenersi il progettista che riguardano i
vari problemi concernenti la sicurezza, l’igiene, la vivibilità e la dimensione di un
ambiente-chiuso
13 “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere
alla rieducazione del condannato” – art. 27
14 Op.Cit - D.A. dè Rossi, Cap. IX pag. 251
15 http://www.pensalibero.it/carcere-nola-burocrazia-declamazioni-illusorie/
16 Celle, camere di detenzione, ambienti di ricreazione, laboratori, palestre, ecc.
8
quale è quello che per definizione identifichiamo come carcere? Che vuol dire benessere dentro il
carcere? E’ legittimo porre un simile interrogativo? Al penultimo quesito si potrebbe
rispondere semplicemente richiamando “tutto ciò che non comporti il suo contrario”, cioè
l’inquietudine, il turbamento, la depressione, il dolore, il desiderio di
autoannientamento. A prima vista queste potrebbero sembrare domande retoriche poiché si ritiene
che il carcere debba offrire, ovviamente senza disagio e sofferenza, solo l’obbligo della
permanenza all’interno di spazi ristretti nella misura (minima) consentita, unitamente ad
altri spazi ove possano essere garantite quelle attività permesse, destinate alla
formazione, alla socializzazione e al lavoro. La restrizione della libertà, che da sola
corrisponde alla condanna, impone esclusivamente la permanenza del condannato in ambienti
chiusi (ancorché differenziati); ove lo spazio fisico e perciò la dimensione, sono
intenzionalmente ridotti; di fatto volti a diminuire la capacità di movimento. Aldilà
delle misure minime riscontrabili nell’arida normativa dedicata, un sicuro motivo di interesse per
il progettista (e non solo) è dato dalla individuazione del limite sottile e dall’accertamento di
quella soglia minima che divide un non meglio definibile benessere da un sicuro,
accertabile e obiettivo malessere all’interno dei ristretti spazi del carcere. Qui, più
in generale, entreremmo nel vasto campo della medicina penitenziaria, argomento che
però esula dalla presente trattazione e volentieri lo rimandiamo a coloro che in
questo campo sono direttamente impegnati professionalmente. Il grave fatto occorso recentemente
presso il carcere di Rebibbia a Roma, dove la detenuta ha fatto morire i suoi bambini,
meriterebbe un approccio problematico molto più vasto rispetto a quello finora adottato
in termini sbrigativi di tecnicalità burocratica e di pseudo politica gestionale. Questi
drammatici casi che emergono dalle diverse realtà penitenziarie - scoprendo
“improvvisamente” una certa inadeguatezza nell’apparato politico-gestionale della carcerazione -
dimostrano in modo sempre più evidente l’urgenza di una riflessione destinata ad nuovo assetto
formativo. C’è più che mai bisogno di un organico programma sistemico-culturale, finalizzato
alla costruzione di una intelligenza organizzativa multidisciplinare destinata a comprendere e
meglio gestire taluni casi più sensibili, comunque inquadrati all’interno di un disegno
strategico ove la detenzione non si configuri come discarica umana ma come opportunità di
recupero e di rispetto per l’individuo. Non ci risulta purtroppo che gli “Stati generali
dell’esecuzione penitenziaria” voluti dal ministro Orlando, abbiano saputo affrontare in tale
chiave culturale la complessità del problema17.
Recupero, riabilitazione e rimunerazione della vittima
Recentemente, tuttavia, le tendenze sono sempre più orientate verso un pensiero correzionale e in
direzione di un uso più idoneo delle carceri intese non solo come strumento di
limitazione della libertà e di esperienza della pena ma come momento di ristrutturazione del
comportamento asociale e deviato. Attraverso massicci sussidi per la pianificazione e
l'attuazione, i governi dovrebbero incoraggiare lo sviluppo di programmi speciali
destinati alla riabilitazione estensiva direttamente orientata anche al carcere a breve
termine o, al meglio, verso una legislazione che prevedesse congrue misure deflattive circa
l’affollamento degli istituti mediante l’utilizzo di articolati criteri di depenalizzazione dei
reati minori e, contemporaneamente, di pratiche alternative alla detenzione all’interno
degli istituti. Istituti correzionali, carceri o penitenziari, sono vari modi per
definire quelle strutture di servizio destinate alla gestione (quasi) totale della vita delle
persone condannate. Dato che la riabilitazione è un obiettivo fondamentale di queste
istituzioni, l'attuale filosofia correzionale chiede un trattamento individualizzato fino al più
alto livello pratico, anche a livello di
17 Dell’indifferenza e della inutilità di quel “sinodo”, rappresentato dagli Stati
generali ne è prova l’ultimo progetto approntato dal DAP relativamente al nuovo
penitenziario di Nola. Si veda a tale proposito l’articolo “Quando alle parole non
corrispondono i fatti” 25.03.2017 a firma dell’autore su Ristretti Orizzonti:
http://www.ristretti.org/Le-
Notizie-di-Ristretti/il-qnuovoq-carcere-di-nola-quando-alle-parole-non-corrispondono-i-fatti
9massima sicurezza. Gli elementi essenziali di un buon programma correzionale
individualizzato, comprendono sostanzialmente:
- la classificazione scientifica e di pianificazione del programma completo basato sulla
storia del caso e lo svolgimento degli esami,
- i servizi medici e dentistici che forniscano trattamenti curativi e di correzione,
- la terapia individuale e di gruppo,
- la consulenza specifica,
- la formazione professionale ed (eventualmente) accademica,
- le attività ricreative al chiuso e all'aperto,
- i servizi sociali per i casi dei prigionieri ed i loro familiari, (cura dei rapporti
affettivi)
- i servizi speciali di trattamento, custodia e cura per le donne con figli al seguito,(Icam)
- la preparazione per libertà condizionata o per il rilascio.
Le varietà di programmi di trattamento, che corrispondono alle diverse esigenze dei
detenuti, richiedono un sistema di istituti correzionali specializzati, classificati, coordinati ed
organizzati in termini di personale e di programma, in modo da poter soddisfare i bisogni specifici
dei carcerati. Le comunità di centri correzionali, specialmente all’estero e negli USA in
particolare, sono il risultato del nuovo accento che ormai da anni si dà alla teoria
correzionale di costruire o ricostruire solidi legami tra l'autore del reato e la comunità, di
integrare o reintegrare l'autore del reato nella vita della comunità. Questo tipo di
struttura si trova all'interno della comunità e può servire a contenere sia i trasgressori
in attesa di processo che i condannati in via definitiva. La premessa di base di un tale
impianto è il massimo utilizzo delle risorse della comunità nel processo di correzione,
fornendo servizi esistenti alla struttura sulla base di un contratto. Ad esempio, le risorse
educative e commerciali-industriali della comunità, possono essere utilizzate per la formazione e
la riabilitazione dei criminali. Così il centro correzionale può funzionare come un
ambulatorio, un centro di trattamento per un esteso sistema di libertà condizionata e, in
definitiva, può risolvere il problema di sovraffollamento degli esistenti istituti detentivi.
Tradizionalmente, almeno nei paesi anglosassoni, tali enti sono stati situati al di fuori dei
centri urbani, isolati su grandi distese di terreni demaniali tra boschi e foreste. Queste
comunità hanno un complemento aggiuntivo esterno di personale e di servizi, compresi
quelli medici, educativi, ricreativi, religiosi, alimentari e di manutenzione. La
pianificazione di strutture di detenzione deve coinvolgere molte persone a livello governativo e
della comunità locale. Dal momento che nessun singolo progettista od organizzazione può prendere in
considerazione in modo adeguato tutte le molteplici esigenze della comunità nella pianificazione
di un centro di detenzione, il ruolo del progettista durante questa prima fase deve
essere come membro di un team specializzato. La stretta collaborazione con la
pubblica amministrazione, dei vari Enti e delle principali organizzazioni coinvolte
(rappresentanze sindacali, sociali, dei detenuti, ecc.) dovrebbe essere obbligatoria. Nel
nostro Paese, ad esempio, e in particolare nelle grandi città, svolgono questa funzione
i municipi, le circoscrizioni con i relativi consigli di quartiere che talvolta si esprimono
su tali argomenti, apportando il loro contributo.
Qualche interrogativo
Quali sono oggi, allo stato attuale della situazione carceraria nel nostro Paese, gli strumenti
che, nel rispetto della normativa specifica e nel rispetto del mantenimento della condanna, possono
essere di aiuto al progettista affinché sia messo in condizione di procedere con sicurezza sul
terreno di una progettazione che ammetta un accettabile margine di benessere all’interno degli
spazi penitenziari?
10
Quanto possono essere di aiuto al progettista i suggerimenti degli psicologi e in generale di
tutti coloro che sono specializzati in materia, che hanno maturato esperienza diretta nell’universo
della detenzione? Che tipo di reattività si riscontra nell’individuo costretto a vivere in spazi
ridotti? Che incidenza ha la luce naturale e/o artificiale sulla psiche del detenuto per
prevenire depressioni, patologie connesse o addirittura suicidi?
Fig.3 - Contenzione e sofferenza.
Come gestire, nel rispetto del più sano equilibrio psicofisico il rapporto con una
sana sessualità durante lo stato di detenzione? In che modo e quando consentire il
mantenimento dei rapporti affettivi col partner e con i figli in ambiti che rispettino
la privacy? Quanto è importante la configurazione dello spazio architettonico nel
mantenimento della salute mentale di chi vive per anni all’interno di un penitenziario?
Qual’é l’incidenza dei suicidi in situazioni di stress prolungato dovuto a carenza o in
difetto di spazi adeguati? E il riverbero sonoro? Che valore ha l’eco o il rumore
assordante all’interno degli ambienti nel generare fenomeni di alienazione e straniamento? Che
rapporto dimensionale ci deve essere tra locali artificiali destinati alla detenzione e
spazi (sorvegliati) ove sia possibile respirare aria all’aperto? Il verde e la vegetazione possono
concorrere per la qualificazione degli spazi all’aperto e, se del caso, in che misura
al miglioramento delle condizioni psicologiche della detenzione? Siamo certi che sia utile che
all’interno del carcere tutti gli ambienti, gli spazi, gli arredi e le componenti edilizie
debbano sempre e necessariamente veicolare messaggi di durezza, di costrizione, di oppressione?
È proprio necessario che la scatola edilizia sia percepita sempre e solo in termini di
cancelli, grate, inferriate e bulloni? Può il progettista immaginare sistemi che, garantendo
comunque la sicurezza, la vigilanza, il controllo e l’economia, siano conformati in modo da
non generare necessariamente stimoli reattivi e di sofferenza in chi è costretto a vivere per
lungo tempo in ambienti del tutto artificiali? Siamo certi che la detenzione di donne in stato di
gravidanza o che abbiano figli che con loro convivono in stato di detenzione non debbano scontare
la pena in ambienti appositamente ri-creati, fatti più a misura di asilo e meno di carcere, con
ambienti interni e spazi all’aperto per la cura e custodia del bambino? Siamo sicuri che la
maternità e tutto quel che segue in ordine all’affetto e all’educazione del bambino
possano trovare in un carcere di forma tradizionale la migliore soluzione per le
future generazioni che, senza alcuna colpa, trascorrono oggi i primi anni della loro vita in
carcere vicino alle loro madri? E’ giusto porsi tali interrogativi perché vengano rivolti
in primo luogo alle istituzioni, agli esperti e a coloro che in seguito dovranno
svolgere in modo corretto una progettazione che sia al meglio adeguata alle esigenze di una più
umana detenzione, tenendo ben
11
presente il necessario punto di equilibrio tra la riabilitazione e l’inviolabilità del
principio del ristoro della vittima, mai dimenticando comunque il disagio della maternità in
carcere e il rischio delle conseguenze traumatiche sulle indifese psicologie infantili.
Fig. 4 Bambini dietro le sbarre - Icam (L. 354 del 1975): modelli da ripensare integralmente
“Lunghi corridoi, pavimenti lucidi, finiture che riflettono la luce ed i rumori, sono elementi
ipnotici che rendono impersonale e ossessivo tutto il contesto ambientale. Lo sviluppo
della scienza del comportamento umano (behaviourism) ha giustamente portato oggi ad una maggiore
attenzione ed enfasi intorno alla riabilitazione dei trasgressori attraverso un più ragionato
approccio concernente il trattamento e, quindi, la necessità di una formazione
professionale specializzata in tal senso. La base di questi programmi destinati al
recupero comportamentale è fonte costante di un’attenta riflessione per il detenuto come
persona, ma soprattutto come individuo. Queste conoscenze non possono essere escluse
dalla preparazione del progettista e devono essere applicate nella fase ideativa e
organizzativa delle nuove strutture correzionali per creare un ambiente tale da favorire gli attesi
risultati positivi. Occorre peraltro non dimenticare che la rimozione di un uomo dalla società e la
conseguente perdita della sua libertà, privacy ed indipendenza, nonché la rigorosa
routine quotidiana, dà come risultato un ambiente totalmente depersonalizzato e totalitario. In
generale le convenzioni per la progettazione di istituti correzionali sono oggi ormai
superate come anche i concetti di efficienza e di funzionalismo che hanno portato alla
ripetitività e alla simmetrica modalità dello spazio e delle forme caratteristiche degli
istituti di correzione. Questi interrogativi sono posti affinché in tutte le diverse fasi della
progettazione vengano affrontate senza superficialità tali problematiche che sicuramente fanno
parte di un corretto modo di procedere circa il non facile
12
compito di creare spazi, ambienti ed edifici destinati alla detenzione. Per immaginare strutture
che non comportino afflizione ma che possano contribuire ad agevolare il reinserimento
sociale dell’individuo che ha scontato la pena e pagato il giusto tributo alla società. In
discussione qui non è tanto il limite inferiore che si sta ricercando, valore abbastanza definito
dalle norme applicative che con precisione recitano dimensioni, numero di ambienti, indici di vario
genere, ma il tetto superiore oltre il quale non è ammesso procedere alla ricerca di un ammissibile
grado di benessere psicofisico del detenuto.
Fig.5 – Canada: camere per mamme e bimbi. A destra, in orari prestabiliti, previa autorizzazione e
come premio, è possibile accedere alla piscina. I piccoli particolari di arredo che
costituiscono l’ambiente-cella, quali la tenda alla finestra, il tavolo, la sedia e l’armadietto,
costituiscono piccoli segnali di comfort e di servizio che vengono concessi al detenuto
a seguito di un riconosciuto miglioramento comportamentale.
Behaviourism e creatività18
In tal senso è evidente che il percorso metodologico non può che essere fondato su
quanto è previsto nella prima dichiarazione Americana dei Diritti dell’Uomo del 1776, nella
proclamazione dei Principi nella Rivoluzione Francese del 1789, nel Patto della Società
delle Nazioni Unite Covenant del 1920, nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani19
nella sede delle Nazioni Unite, nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo,
nella Carta Costituzionale della Repubblica, nella normativa specifica. Tutto questo
complesso di disposizioni e proponimenti
18 Op.Cit.
19 L’art. 5 della Dichiarazione così recita: “nessun individuo potrà essere
sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti”.
13
rappresenta l’ideale asticella al di sotto della quale non è consentito, per uno Stato civile,
scendere. Al contrario, ciò che rappresenta la vera sfida metodologica per le istituzioni, per il
legislatore, ma anche per il progettista, è comprendere quanto possa essere legittimamente posto
con ragionevole misura al di sopra di questo limite. In tal senso è appena il caso di ricordare che
la pena dovrebbe consistere nella sola limitazione della libertà di movimento: quindi il
confinamento all’interno di ambienti più o meno articolati da cui non è consentito uscire, non
altro. In quanto solo restrittiva della libertà di libero trasferimento in altro luogo, la pena,
nel rispetto dell’inalienabile principio del ristoro della vittima, non prevede affatto che
si accompagni ad essa anche la diminuzione dello spazio al minimo di un accettabile grado di
vivibilità.
Fig.6 - Leoben Justice Centre nella Stiria in Austria. La facciata esterna del carcere e un
corridoio di servizio. Ciò che rende particolarmente interessante ed unico nel suo genere questo
complesso penitenziario è lo spazio e la “trasparenza” ambientale. La quasi totale
rinuncia a componenti percettivamente “dure”, quali sono i cancelli, le inferriate e gli
sbarramenti (elementi caratteristici del carcere classico) connota, attraverso il nuovo
significato spaziale e materico, un esplicito valore di fiducia e dichiara una civile
considerazione nei confronti del particolare tipo di “ospite”. La dignità dello spazio e
dell’ambiente è strettamente legata al valore umano del detenuto e dei suoi diritti.
La ricchezza ambientale come risorsa sistemica
L'ambiente di nuovo diviene una componente fondamentale nella emergenza della consapevolezza
sociale ed ecologica e nel miglioramento delle capacità sistemiche dell'individuo nel momento in
cui si integra in contesti più resilienti e persistenti nel tempo. Volgiamo ora l'attenzione
all'ambiente come stimolo allo sviluppo di adeguate capacità cognitive per la gestione dei
problemi. E’ qui utile recuperare il concetto di ambiente arricchito, che può essere
inteso come "una combinazione di stimoli complessi sociali e inanimati". Il termine
Enriched Environment (ambiente arricchito) fu coniato per la prima volta da Rosenzweig negli
anni '60, proponendolo come contesto sperimentale opposto a quelli, allora più utilizzati, fondati
sulla deprivazione sensoriale (ambiente impoverito). Il significato reale dei protocolli
sperimentali cosiddetti "arricchiti" è stato molto dibattuto, dato che gli ambienti valorizzati,
impiegati nei protocolli sperimentali, apparivano essere in realtà molto simili agli
ambienti naturali di provenienza degli animali, ed il loro concetto di arricchimento
poteva dunque avere un significato solo relativo a quello di impoverimento. “Questi aspetti sono
stati comunque chiariti sia in contesti sperimentali animali, dove la presenza di un
ambiente arricchito si è correlato con una aumento delle spine dendritiche dei neuroni
corticali rispetto le
14
condizioni di normale socialità o di isolamento, sia in recenti studi su neonati, dove
lo stimolo periodico tattile velocizza la maturazione delle vie visive, e su uomini
adulti, dove l'esercizio cognitivo ed una costante attività fisica si sono correlati con un
mantenimento di prestazioni mentali simili ai soggetti giovani”20.
Fig.7 - I cosiddetti “ambienti arricchiti” presentano una complessità di stimoli
sensoriali e cognitivi in un contesto di vita sicuro e prevedibile, mentre gli ambienti
impoveriti presentano isolamento sociale e assenza o scarsità di stimolazioni cognitive ed
affettive.
Fig.8 -A parità di consumo di cibo, gli animali posti all’interno di ambienti arricchiti
mediante varie stimolazioni sensoriali, mostrano avere una ramificazione delle cellule neurali più
estesa e complessa, rispetto ad altri animali in ambienti impoveriti.
Etica della responsabilità e qualità della salute
Il progettista, che con gli spazi e le dimensioni degli stessi lavora utilizzando vari
strumenti (tecnologie, materiali, colori, illuminazione naturale e artificiale, misure,
proporzioni e forme, ecc.) pur nel rispetto delle norme che stabiliscono per taluni ambienti il
minimo dimensionale21 oltre il quale non è consentito scendere, deve porsi l’interrogativo di fondo
che riguarda l’individuazione
20 Op.cit a cura di D.A. dè Rossi e AA.VV. ed. Mursia 2016 Milano – Pierluigi Marconi Cap. XII
pagg. 351 e segg.
21 Standard minimi di superficie per camera in rapporto al numero di detenuti.
15
dell’incerto confine che separa l’ammissibile grado di benessere
dall’insopportabile sicuro malessere. Purtroppo la costruzione architettonica, benché sia
strettamente dipendente dalle diverse normative, dalle disposizioni tecniche governative,
rappresenta per il progettista lo strumento e l’oggetto finale che richiede lo
scioglimento e la soluzione di simili interrogativi. E’ rimesso pertanto nelle mani di
colui che deve concepire il progetto il compito di sostenere decisioni tecniche ammissibili che
comunque si conformino, oltre che ai dettami normativi, anche agli obiettivi finali insiti nel
proposito detentivo, che non è solo remunerativo nei confronti della parte lesa ma al
contempo teso al recupero civile dell’individuo condannato. Anche l’edilizia
penitenziaria, nella sua auspicabile e corretta tendenza a farsi “architettura
penitenziaria”, cioè linguaggio edilizio qualificato, può contribuire, nei limiti impostigli
almeno in parte, alla soluzione di simili problemi. Proprio queste domande, pertanto, obbligano
il progettista a compiere fin dall’inizio una ben orientata scelta di campo; che in
partenza sia culturalmente radicata sul principio del recupero e del diritto alla
riabilitazione dell’individuo in conformità alla Dichiarazione del 1948; che
successivamente sostenga nell’azione professionale pluridisciplinare il ruolo etico ed
umanitario, riscoprendo che anche l’esercizio applicativo destinato alla progettazione di istituti
penitenziari può essere di ausilio alla risoluzione di questi gravi problemi sociali.
Diritti Umani e consapevolezza progettuale
Soprattutto in questo caso, l’unico e vero punto di partenza per colui che compie il
lavoro di progettista, la grande piattaforma ideologica cui occorre fare costante
riferimento per potersi correttamente orientare nei meandri dei possibili modi di
applicare l’azione detentiva per mezzo dell’oggetto edilizio, non può che partire dal
codice etico della Dichiarazione dei Diritti Umani, dalla Carta dei Diritti
Fondamentali dell’Unione Europea,dalla Carta Costituzionale della Repubblica Italiana e
dalla specifica normativa che ad essa si conforma. Fatte queste asserzioni, possono
essere posti alcuni quesiti intorno al problema del fare architettura nell’ambito dell’edilizia
penitenziaria. Se, sulla scorta di quanto la storia recente ci ha consegnato, ci si è
sufficientemente resi conto che il dibattito attorno al problema carcerario si è venuto fortemente
evolvendo in termini di civiltà del diritto intorno alla metà del ‘700 grazie agli
interventi dei vari filosofi, giuristi e filantropi che hanno riconosciuto al condannato,
oltre alla capacità del pentimento, anche la possibilità del recupero e di una rieducazione
ai fini di un reinserimento sociale, non costituirebbe grande difficoltà il comprendere che la
progettazione prima e la costruzione di un penitenziario poi, dovrebbero essere volte a creare
fisicamente, quelle condizioni migliori tecnico-funzionali che possano al meglio garantire le
suddette finalità. Da queste considerazioni generali apparentemente astratte e di sapore quasi
ideologico, deve partire innanzitutto la formazione di una specifica cultura ad hoc per meglio
indirizzare una matura coscienza progettuale nei tecnici nella fase del concepimento
della forma e nell’organizzazione degli spazi più rispondenti alle esigenze del recupero
e della rieducazione. Tutto ciò che è contrario a questo metodo e che non si ispiri a questi
principi, è fuori della norma della civiltà giuridica consolidata e condivisa dai Paesi
civili e democratici. Non sarà certo solo dalla lettura della normativa indicante le misure, le
grandezze, le dimensioni e dall’apprendimento del numero minimo di ambienti che si
formerà la cultura progettuale necessaria alla ideazione di un organismo architettonico destinato
a penitenziario. E’ da ritenere invece necessario che un approccio corretto alla progettazione
debba contenere al proprio interno una solida e maturata consapevolezza attorno a questi grandi
problemi di carattere sociale ed umanitario. Con riguardo alle interazioni tra l’architettura
e la salute in carcere, ivi compresi gli aspetti relativi alle relazioni affettive e le
situazioni ancora più delicate riguardanti la detenzione di
16
madri con al seguito figli di età inferiore ai tre anni, occorre analizzare senza
preconcetti né ideologismi la situazione esistente, nonché proporre soluzioni idonee a
contemperare gli assunti del vigente dettato normativo col “vissuto” penitenziario, con la
necessità ineliminabile di continuare a rendere realmente operante l’esercizio paritario di
funzioni costituzionalmente tutelate (quelle relative al diritto alla salute fisica e mentale
dell’individuo e quelle riguardanti la sicurezza della comunità nazionale). Ciò comunque secondo un
maggior rispetto della dignità della persona anche quando reclusa, perché chi sconta una pena non
perda i diritti fondamentali quale individuo e ruolo genitoriale, mantenendo il diritto di
aspirare ad opportunità di riscatto che non debbano essergli arbitrariamente negate; che
non debbano essere negate a coloro che, come i figli dei detenuti, abbiano sulle spalle
gravami sociali, culturali e psicologici tali da insidiare il loro futuro quando da adulti dovranno
inserirsi nel contesto sociale.
Fig.9 - Stanze in un carcere per rapporti coniugali
Detenzione, salute psicofisica e sessualità: ossimoro o diritto costituzionale?
In altri Paesi, viene particolarmente curato l’aspetto architettonico e ambientale che
deve poter essere in grado di consentire a coloro che sono in condizioni di privazione
della libertà, di mantenere una sana vita sessuale ed affettiva garantendo rapporti con il
partner o con il coniuge, nei modi e nei termini consentiti. Taluni istituti, non solo
europei e di più avanzata concezione, dispongono di idonei ambienti igienicamente controllati,
in taluni casi anche mini appartamenti, ove è permesso l’incontro intimo con il partner. Tale
consuetudine, oltre ad essere osservante del diritto alla sessualità (uno degli elementi
fondamentali della vita umana) e al mantenimento di legami affettivi, svolge un importante
e sano rapporto nei confronti della persona in stato di detenzione che vede rispettati i
propri diritti fisiologici e affettivi con ciò contribuendo al recupero
comportamentale dell’individuo così come anche previsto dall’art 27 della Costituzione, purtroppo
non solo in tal caso, frequentemente disatteso nel nostro Paese. La privazione e la negazione della
sessualità in carcere provoca nell’individuo ristretto sofferenza e, a lungo andare,
grave disagio psichico, deteriorando nel tempo gli stessi legami famigliari, aggiungendo
alla criticità presente all’interno della detenzione ulteriori aggravamenti all’esterno nel
rapporto col partner: crisi coniugale, sofferenza indotta a carico dei figli, crisi
generalizzata su varie componenti umane. Non ultimo tra i vari aspetti, l’emergenza di nuovi
comportamenti sessuali all’interno del carcere imposti dalla deprivazione e dalla mancanza di una
continuità di relazione affettiva con il partner o con il coniuge. In Francia e non solo, ma in
buona parte del nord Europa, all’interno di molti penitenziari si è provveduto a creare
ambienti per consentire i rapporti regolari con il coniuge. Piccoli
17
appartamenti, completi di cucina e camera da letto e di minisoggiorni in ambienti
semiprotetti a contatto con l’esterno, consentono ai detenuti di poter gradire aspetti della
libertà di amare. Tale procedura, seguente attenti protocolli collegati al comportamento
dell’individuo durante la sua permanenza in stato di detenzione, consente un percorso di
avviamento progressivo alla normalità e al recupero della senso di dignità personale persa, che
troppo spesso interviene sul detenuto in stato di carcerazione. Tale procedura contiene, oltre che
il principio premiale alla base del trattamento comportamentale, anche il riconoscimento di valori
negati da sempre con la carcerazione: gli affetti, la sessualità, l’amore. La maggior parte dei
detenuti riferisce come la pulsione sessuale nei primi mesi in carcerazione sia assente, anche per
effetto di un primo stato depressivo, superato il quale avviene poi la ripresa normale del
desiderio praticando l’autoerotismo. Presto, non appagandosi più a sufficienza, il desiderio
sessuale finisce inesorabilmente al rapporto omosessuale. Talora trasformandosi anche
in mezzo di sfruttamento, sottomissione e merce di scambio. Per molti detenuti, questo
vero e proprio abbrutimento e depersonalizzazione ha effetti devastanti, non
riconoscendosi più nei propri comportamenti essi tendono alla dissociazione, con palesi
ricadute psico-fisiche e la nascita, spesso, di psicopatie che talvolta causano violenza verso se
stessi con atti di autolesionismo o suicidari. Molto saggiamente il Consiglio dei Ministri europeo
ha raccomandato agli Stati membri di permettere ai detenuti di incontrare il/la proprio/a partner
senza la sorveglianza visiva durante la visita. (Raccomandazione R(98)7, regola n. 68).
Parimenti, anche l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha sollecitato la
raccomandazione di mettere a disposizione dei detenuti dei luoghi speciali per coltivare i
propri affetti - Raccomandazione 1340 del 1997 - relativamente alle serie conseguenze della
detenzione sui piani familiari e sociali).
Fig.10 - Ambiente di soggiorno per consolidamento dei rapporti di famiglia. Da notare
la determinante cura della camera
18
Fig.11 – Francia, sopra a sinistra, alcuni messaggi educativi disposti lungo i
corridoi. Le foto sopra e nella fig. 12 rappresentano i due lati di un ambiente semi-esterno, una
sorta di veranda coperta con affaccio sul verde, veri e prorpri mini appartamenti destinati al
trattamento premiale relativo al recupero del rapporto detenuto/famiglia.
Fig.12 – Francia, sopra, immagini del “modulo di accoglienza” trattamentale relativo al recupero
del rapporto detenuto/famiglia. Nella foto a sinistra il banco per la zona cucina,
completamente provvisto di tutti gli accessori. Al centro la doccia e i sanitari wc in altro
ambiente, a destra la camera da letto matrimoniale
Diritti umani, salute e rispetto dell’affettività
Che lo Stato, in forza delle proprie leggi, possa regolamentare in tal senso anche questi aspetti
così sensibili appartenenti alla dignità umana, è cosa che incide profondamente nella
percezione valoriale del detenuto nella sua permanenza in carcere. In tal modo facendogli
riconoscere che la detenzione può essere vissuta come occasione di autoricostruzione e non come
percorso distruttivo del proprio sé e della propria affettività. Di norma purtroppo, le
restrizioni che intervengono all’ingresso e durante la carcerazione non si limitano alla
primaria privazione della libertà, ma vanno oltre, esigendo la sospensione dei rapporti umani
stroncando duramente le relazioni familiari ed intimo-affettive. In ordine allo svolgimento
dei colloqui visivi in carcere, la disciplina dettata dagli artt. 18 o.p. e 37 reg.
es. dispone che essi avvengano sotto il controllo visivo costante del
19
personale di custodia, all’interno di locali appositi o aree all’aperto (sempre facenti
parte della struttura penitenziaria). Con tale disciplina in alcun modo il diritto all’affettività
e all’intimità del detenuto con il proprio partner vengono viene tutelato. Diritto che
alla luce di quanto garantito dall’art. 2 della Costituzione sembrerebbe anch’esso essere
meritevole di difesa, oltre che nel diritto al mantenimento dei rapporti affettivi e familiari in
carcere (artt. 29, 30 e 31 Cost.) e nel principio della finalità rieducativa della pena (art. 27
comma 3 Cost.). Ciò considerato, l'affettività in carcere rappresenta solo uno degli elementi
fondamentali facenti parte del complesso del trattamento rieducativo per almeno tre ragioni
distinte e concordi: una di diritto, una di medicina e una di fatto. Una volta scontata la pena, la
famiglia, è bene non dimenticarlo, rappresenta allo stato l'unico vero argine alla devianza.
detenuti
visite coniugali
Fig. 13 - Sopra dettaglio della pianta22 con i quattro padiglioni destinati ai colloqui con i
visitatori: Giudici A2. Avvocati A22. Rapporti col coniuge A24. Famiglie A21.
L’istantanea interruzione del flusso degli affetti e dei rapporti umani ad un singolo
individuo, separandolo dalla sua storia personale, significa troncare quelle dimensioni
sociali che lo hanno generato, nutrito e sostenuto. Di anno in anno, il carcere così
strutturato viene a distruggere l’identità sociale del detenuto con scientifica crudeltà. Tutti
ormai, al di là delle ipocrisie e delle ideologie sessuofobiche, sono concordi nel riconoscere che
l’attività sessuale nell’uomo rappresenta un ciclo organico che non è possibile interrompere
(o peggio cancellare) senza determinare nel
22 Tratto dal progetto per un penitenziario redatto nel 2004 per un paese estero (progettista
arch. D.A. dè Rossi) – pubblicato su “L’Universo della detenzione, storia, architettura e norme dei
modelli penitenziari” Mursia 2011
20
soggetto, in ogni caso, dei traumi sia fisici che psichici. E’ accertato che non pochi individui,
che prima dell’incarcerazione avevano sempre avuto un comportamento eterosessuale, a causa
della promiscuità e della violenza della vita nel penitenziario, a fronte del turpiloquio e delle
oscenità di cui diventano obbligati spettatori, subiscono un lento inevitabile processo di
depersonalizzazione e di conseguenza un progressivo adattamento al costume medio,
contraddistinto dal codice della subcultura carceraria (regole non scritte, vigenti tra i
detenuti). Ad oggi, 31 su 47 Stati componenti il Consiglio d’Europa, attraverso svariate
procedure, hanno previsto nel proprio ordinamento interno la possibilità per coloro che
sono in stato di detenzione l’accesso a visite affettive con il proprio partner.
percorso detenuti
uscita ingresso
esterno visite coniugali percorso interno visite coniugali
Fig. 14- Sopra, i disegni si riferiscono al blocco A24 (in scuretto area destinata al
rapporto riservato per gli incontri coniugali fig. 13) e ingrandiscono la zona di
accesso e controllo dei visitatori esterni, la sala di attesa generale, i servizi. A
destra nel secondo disegno, sono rappresentate le unità separate per i rapporti intimi. In
basso, ingrandito, il blocco delle stanze e i ssietema dei servizi igienici a ingressi separati.
L’organizzazione del blocco prevede l’accesso e le uscite con percorsi distinti per detenuti e
familiari visitatori. Le stanze sono provviste di letto e di locale W.C. separato. Op.cit.
E’ peraltro significativo ed è appena il caso di ricordare che Russia, Francia,
Olanda, Svizzera, Finlandia, Norvegia, Austria, Germania e Svezia, negli istituti
penitenziari siano stati approntati miniappartamenti dove il detenuto è autorizzato a vivere per
alcuni giorni con la famiglia. Già dal 1980 in Canada, con pianificati protocolli trattamentali, le
visite coniugali avvenivano all’interno di apposite case mobili poste all’esterno del
penitenziario. Fin dagli anni ’90, in un campo di lavoro
21
del Mississippi negli USA gli “inmates”, i prigionieri, possono ricevere visita di una
“professionista del sesso”. In Italia il solo modo per consentire al detenuto di
mantenere relazioni intime con il proprio partner, è quello del permesso premio, che
gli permette di trascorre un breve periodo in famiglia23.Il permesso viene concesso dal
Magistrato di sorveglianza e non a tutti i detenuti, ma solo ai condannati che hanno
tenuto regolare condotta e non risultano socialmente pericolosi24. In Italia, con la proposta di
legge 653/86 (poi abrogata), si è voluto considerare l’ipotesi di introdurre degli appositi
ambienti per l’amore, in modo che il detenuto potesse mantenere un legame di coppia preesistente.
E’ più che evidente che l’argomento abbia suscitato troppe perplessità, tanto da essere messo
subito da parte. Su ricorso di un detenuto, il Magistrato di sorveglianza di Firenze, sollevò
eccezione di costituzionalità in merito all’art. 18 o.p. ove si prevede il controllo a
vista e non auditivo del colloquio, in quanto impedirebbe di avere rapporti intimi, non esclusi
quelli sessuali, con il partner, violando gli artt. 2,3,27,29 e 32 della Costituzione,
oltre a varie altre fonti sovranazionali. Con Sent. N.301/2012 la Corte Costituzionale,
nonostante ritenesse inammissibile la questione costituzionale, nel sottolineare che il
controllo visivo da solo, una volta eliminato,
23 Massimo quindici giorni per ciascuna autorizzazione e non più di 45 giorni l’anno (cioè 3
permessi premio).
24 Il Consiglio dei Ministri del 27 settembre 2018, su proposta del Ministro della
giustizia Alfonso Bonafede, ha approvato, in esame definitivo, i Decreti Legislativi che,
in attuazione della legge delega per la riforma del Codice penale, del Codice di
procedura penale e dell’ordinamento penitenziario (legge 23 giugno 2017, n. 103), introducono nuove
disposizioni relative all’ordinamento penitenziario e all’esecuzione delle pene nei
confronti dei condannati minorenni. Di seguito i punti principali dei provvedimenti approvati:
A) Riforma dell’ordinamento penitenziario, in materia di assistenza sanitaria,
procedimenti e vita penitenziaria in attuazione della Delega di cui all’articolo 1, commi 82,
83 e 85, lettere a), d), i), l), m), o), r), t) e u), della legge 23 giugno 2017, n. 103.
Il decreto introduce disposizioni volte a modificare l’ordinamento penitenziario, con particolare
riguardo all’assistenza sanitaria, alla semplificazione dei procedimenti per le decisioni
di competenza del magistrato e del Tribunale di sorveglianza, nonché alle disposizioni
in tema di vita penitenziaria. Il testo approvato fa seguito ai pareri contrari
espressi dalle competenti Commissioni parlamentari circa il precedente assetto complessivo
della riforma ed è contrassegnato, in particolare, dalla scelta di mancata attuazione
della delega nella parte volta alla facilitazione dell’accesso alle misure alternative e alla
eliminazione di automatismi preclusivi alle misure alternative alla detenzione in carcere. In
tema di assistenza sanitaria in carcere, la revisione tiene conto della esigenza di
risposta alle nuove necessità di tutela della salute e afferma in modo chiaro il diritto di
detenuti e internati a prestazioni sanitarie tempestive e appropriate. Si interviene poi sulle
norme che disciplinano il procedimento di sorveglianza, in funzione di una sua complessiva
accelerazione. Infine, si introducono specifiche norme volte a rafforzare i diritti di detenuti e
internati, con particolare riguardo al principio di imparzialità dell’amministrazione
carceraria e al contrasto a ogni forma di discriminazione, ivi comprese le discriminazioni
dovute al genere o all’orientamento sessuale.
B) Riforma dell’ordinamento penitenziario in materia di vita detentiva e lavoro penitenziario in
attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 82, 83 e 85, lettere g), h) e r), della legge
23 giugno 2017, n. 103
Il testo concretizza, in particolare, le disposizioni relative: all’incremento delle
opportunità di lavoro retribuito, sia intramurario sia esterno, nonché di attività di
volontariato individuale e di reinserimento sociale dei condannati, anche attraverso il
potenziamento del ricorso al lavoro domestico e a quello con committenza esterna, aggiornando
quanto il detenuto deve a titolo di mantenimento, nonché alla maggiore valorizzazione del
volontariato, sia all’interno del carcere sia in collaborazione con gli uffici di esecuzione
penale esterna; al miglioramento della vita carceraria, attraverso la previsione di norme
volte al rispetto della dignità umana mediante la responsabilizzazione dei detenuti, la
massima conformità della vita penitenziaria a quella esterna.
22
23
comunque non consentirebbe l’obiettivo aspettato, in quanto per le visite occorrerebbe predisporre
una disciplina ad hoc (modalità, destinatari, numero, durata, misure organizzative), ha richiamato
l’attenzione del legislatore circa la problematica dell’affettività in carcere, in considerazione
altresì di quanto assunto da molti altri Stati che riconoscono al detenuto il diritto
all’affettività, non escludendo quello della sessualità intramuraria.
Gli Stati generali sull’esecuzione penale
In riferimento alla sentenza, recentemente, anche gli Stati generali sull’esecuzione
penale25 (confronto multidisciplinare voluto dal ministro Orlando), hanno espresso generici
pareri circa l’introduzione delle stanze dell’affettività o, più pudicamente, con
dissimulatrice terminologia inglese, meglio indicate come “love rooms”26. La commissione individuò
altresì talune modalità per la realizzazione di spazi riservati, prevedendo ambienti
speciali anche all’interno degli istituti, mediante unità abitative dedicate, separate
dalla zona di detenzione. Come per altre buone iniziative, anche attorno a questa
tematica sensibile furono sollevati - molto prima degli Stati generali - problemi27
inerenti il delicato rapporto tra salute, diritti umani e organizzazione
“funzionale/spaziale”. Con ciò rimandando il delicato problema direttamente
all’organizzazione architettonica degli istituti di detenzione come concezione risolutiva.
Purtroppo anche dopo gli l’evento Stati generali, il problema della affettività e della
sessualità in carcere, come per altri fondamentali aspetti riguardanti la difesa della
famiglia, dei minori e delle identità di genere, il tutto è tornato al punto di partenza. Visti i
risultati, che non ci sono stati, verrebbe da pensare che si siano utilizzate quelle giornate di
lavoro al solo scopo di agitare questioni e dibattiti, senza riguardo o reale interesse
politico volto alle soluzioni dei problemi. Solo in via del tutto sperimentale sono
state recentemente edificate alcune stanze per l’affettività nel carcere di Milano Opera, composte
da un ambiente cucina, tavolo, sedie, divano e TV. I detenuti ammessi possono
soggiornare per un intero giorno in questi spazi destinati e in piena riservatezza, sperimentando
di fatto quelle forme di affettività “normale” che hanno lasciato fuori dal carcere a seguito della
condanna.
Uomini e donne in stato di reclusione
L’uomo è struttura sensibile e, anche quando non se ne accorge, interagisce con il
suo ambiente culturale e fisico. Tradizionalmente, chi pianificava la casa o la città ha contato
spesso su processi intuitivi e sulla scorta dell’esperienza accumulata nel tempo per ottenere le
risposte desiderate. Di recente una collaborazione più stretta tra l'architettura, le scienze
sociali e della comunicazione, ha permesso di applicare più vaste risorse informative per i
problemi pratici della progettazione da applicare a specifici settori. Tuttavia, ancora oggi
anche attorno a tematiche di largo interesse ed attualità, il progettista in cerca di informazioni
e di documentazione specializzata in materia edilizia trova, perfino a livello accademico, una
significativa scarsità di dati scientifici sugli uomini-in- stato-di-reclusione28.
25 18-19 aprile 2016-Evento conclusivo degli Stati Generali dell'Esecuzione penale. Due
giornate di lavori presso l'auditorium della casa circondariale di Roma Rebibbia "Raffaele
Cinotti".
26 Il ricorso ipocrita alla definizione inglese (love rooms) adottato dal sistema politico
burocratico rappresenta meglio di tante altre considerazioni l’approccio culturale sessuorepressivo
e sessuofobico dell’attuale regime carcerario.
27 Cfr. “L’Universo della detenzione” del 2011 e “Non solo carcere” del 2016 Op.cit.
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