mercoledì 8 febbraio 2023

EDUCAZIONE ALLA LEGALITÀ NELLE SCUOLE

 Proseguono anche in questo anno i nostri incontri nelle scuole al fine di prevenire la criminalità, il bullismo, la violenza ecc. Il nostro motto è "Prevenire è meglio che curare"



Grazie all'Istituto Cartesio di Roma che ci ha accolto, il giorno 8 di Febbraio, per illustrare le nostre attività agli studenti. È stata una giornata intensa durante la quale abbiamo affrontato le tante problematiche che affliggono la nostra società e in particolare i giovani che cadono spesso nelle trappole del male, dei vizi che portano poi a percorsi di criminalità spesso irreversibili. Come sempre nei nostri incontri, portiamo con noi delle persone testimoni di storie importanti di riscatto sociale e solidarietà. È stata la volta di Claudio Bottan e Simona Anedda, un ex detenuto e una donna affetta da sclerosi multipla che si incontrano, e da quell'incontro nasce un rapporto di aiuto reciproco inaspettato. Due persone con storie di vita diverse che trovano un punto d'incontro nella loro sofferenza reciproca ed insieme riescono ad affrontare paure e solitudini.

 

Si riporta l'articolo pubblicato sul sito dell'Istituto che ben ci racconta le emozioni e l'interesse suscitati nei ragazzi da questo incontro. 

 

Tutti “A scuola di libertà”

Oggi i ragazzi dell’Istituto Cartesio, nell’ambito del progetto “A scuola di libertà”, presentato dalla docente di diritto Cristiana Di Martino, hanno avuto l’opportunità di parlare di giustizia, disabilità, redenzione e viaggi.
Hanno conosciuto una storia di resilienza, di speranza, un grande amore che combatte contro quelle etichette che diventano un marchio.

Claudio e Simona, Due fenici rinate dalle ceneri delle loro prigioni. Claudio, per sei anni detenuto, continua a portare addosso la prigione della sofferenza provata, del rimorso, di un perdono che tarda ad arrivare. E Simona, prigioniera del suo corpo. Simona, la forza e il motore di Claudio e Claudio le gambe, le braccia, le mani di Simona. Due mondi diversi che si incontrano e combaciano come pezzi di un puzzle.

Grazie Claudio Bottan e Simona Anedda per esservi donati a noi. E grazie alla Dott.ssa Maria Teresa Caccavale e all’associazione Happy Bridge per aver permesso tutto ciò e per essere la voce di chi voce non ne ha.

 



 

lunedì 16 gennaio 2023

ARCHITETTURA PENITENZIARIA - DIRITTI UMANI E QUALITA’ DELLA SALUTE

 ARCHITETTURA PENITENZIARIA

DIRITTI UMANI E QUALITA’ DELLA SALUTE

 l’affettività in carcere: modelli da ripensare

Domenico Alessandro de Rossi

 

Il cervello, la mente e l’ambiente: un sistema interattivo

L’architettura,  la  costruzione  di  edifici  o  la  pianificazione  del  territorio  sono  parte  
delle  diverse attività attraverso cui l’uomo trasforma, mantiene o degrada l’ambiente all’interno
nel quale vive. Queste alterazioni, insieme a molte altre legate per esempio all’agricoltura o alla
escavazione per trarre materiali dalla terra, vengono svolte nell’azione di antropizzazione
dell’habitat1 e sono le più varie. Sebbene tali interventi siano attuati allo scopo di adattare
l'ambiente (naturale) alle proprie esigenze e migliorare la qualità della vita, non è detto che
queste azioni abbiano sempre un impatto positivo  sull'ambiente  e  quindi  sull’uomo.  Anzi,  al  
contrario,  quando  non  sono  ben  ponderate, spesso  hanno  un  effetto  negativo,  danneggiando  
in  maniera  irreversibile  il  naturale  equilibrio dell’ecosistema  del  quale  parte  integrante
 è  l’uomo.  In  tal  senso  la  materia  qui  da  osservare  si presenta  in  termini  
relativamente  complessi  in  quanto  vede  più  elementi  molto  diversi  tra  loro interagire  
secondo  flussi  e  dinamiche  di  segno  opposto:  da  un  lato,  l’influenza  che  il  sistema-
cervello-mente  determina  sull’ambiente  (soggettivistico);  dall’altro,  l’ambiente  come  
elemento modificante il sistema-mente-cervello (oggettivistico).



Lo stato dell’arte

L’interazione tra il comportamento umano e l’ambiente appartiene ormai di diritto allo studio delle
neuroscienze e di altre discipline collaterali, solo apparentemente distanti come l’architettura e
la progettazione dell’habitat: discipline che, anche se con ritardo, si stanno finalmente
affacciando al problema, seppur non avendo ancora sviluppato la necessaria sistematicità e
metodologia di base. L’architettura,  branca  dell’azione umana che struttura e modifica  
l’ambiente all’interno di questo flusso orientato di informazione interattiva, è determinata a
monte dall’attività mentale-progettuale
 

1  D.A. dè Rossi e AA.VV – Habitat industria Energia, analisi della ideologia dell’habitat come
continuo temporale – zioni, Roma 1977


giovedì 20 ottobre 2022

IL CARCERE AL FEMMINILE - DOCUMENTARIO

 

Caine di Amalia De Simone e Assia Fiorillo



Si entra nei penitenziari femminili di Fuorni-Salerno e Pozzuoli e nel vivo della vita carceraria quotidiana. Giornalista la prima, cantante la seconda, insieme entrano nelle storie delle detenute attraverso un esperimento formativo: l’invenzione di una canzone scritta da tante mani che diventa il racconto autentico di una città controversa e appassionata, Napoli.

👉Guarda qui il Documentario CAINE👈

giovedì 6 ottobre 2022

NUOVE NORME SUL CARCERE NEL DECRETO DELLA RIFORMA CARTABIA

 

Ecco le nuove norme sul carcere contenute nel decreto attuativo della riforma Cartabia

Si tratta di una potente rivoluzione copernicana capace di incidere sul sistema penitenziario-sanzionatorio nonché sulla stessa fisionomia del giudice penale di cognizione. Ecco perché 

Di Alessandro Parrotta   4 Ottobre 2022

 

 

Da sempre il nostro ordinamento penale e penitenziario è giudicato eccessivamente “carcero-centrico” e, in effetti, le statistiche di primari Istituti nazionali, sovranazionali nonché dello stesso Ministero della Giustizia hanno sempre riportato, negli anni, un dato in continua crescita: le statistiche del Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria, al 31 dicembre 2021 confermano che i detenuti per pene inflitte in misura inferiore a quattro anni erano 11.262 su 37.631, pari cioè al 29,9%. In sostanza, quasi un detenuto ogni tre stava scontando una pena detentiva “breve”. Circostanza, questa, che non aiuta certo a risolvere uno dei grandi problemi della giustizia penale nella sua fase esecutiva, ossia il sovraffollamento delle carceri, con tutte le conseguenze che da questo derivano.

Per i condannati a pene detentive cd. brevi, infatti, l’ingesso in carcere è tutt’altro che rieducativo. Vale rammentare, a tal proposito, che da tempo è diffusa e radicata, anche nel contesto internazionale, l’idea secondo la quale una detenzione di breve durata comporta costi individuali e sociali maggiori rispetto ai possibili risultati attesi, sia in termini di risocializzazione dei condannati che di riduzione dei tassi di recidiva. Quando la pena detentiva ha una breve durata, rieducare e risocializzare il condannato (art. 27 Cost.)  è obiettivo che può raggiungersi molto più efficacemente e con maggiori probabilità attraverso pene extra murarie le quali, eseguendosi nella comunità delle persone libere, escludono o riducono l’effetto alienante della detenzione negli istituti di pena, relegando questa al vero e autentico ruolo di extrema ratio.

Da questa presa di coscienza, l’impegno della Riforma Cartabia e degli schemi di decreto attuativi di potenziare l’esecuzione penale esterna (già in voga in forza della sempre maggior applicazione dell’istituto della messa alla prova) attraverso l’introduzione di vere e proprie pene sostitutive alla detenzione (breve), nei contenuti, simili alle attuali misure alternative alla detenzione, ma, nei presupposti, ben differenti. La Riforma infatti intende attribuire al giudice della cognizione la possibilità di applicare, già a partire dal momento della condanna, richieste di accesso alle misure alternative senza necessità di pronunce di ordini di sospensione, né di pronunce di esecuzione condizionalmente sospesa, le pene sostitutive (eredi delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi introdotte più di quarant’anni fa con la legge 689 del 1981).

Quest’ultime, ad onor del vero, non hanno mai visto la luce a causa, per così dire, dell’indiscusso “successo” ottenuto con la sospensione condizionale della pena. La pressoché irrilevante applicazione delle pene sostitutive di cui all’art. 53 l. n. 689/1981 è testimoniata, emblematicamente, proprio dai dati relativi alla semidetenzione – che ha interessato nel 2021 solo 11 persone – e alla libertà controllata – che ha interessato nello stesso anno solo 540 persone. Di qui la scelta del legislatore delegante di abolire tali sanzioni sostitutive di introdurre ex novo una disciplina organica.

Il concetto di pena detentiva “breve” cambia e si allinea, nel giudizio di cognizione, con quello individuato in sede di esecuzione dall’art. 656, co. 5 c.p.p. per l’accesso alle misure alternative alla detenzione in costanza di sospensione di un ordine di esecuzione. Si allinea, così, il limite massimo della pena sostituibile con quello entro il quale in sede di esecuzione può applicarsi una misura alternativa alla detenzione.

Questa scelta comporta, apprezzabilmente, sia il venir meno dell’integrale sovrapposizione dell’area della pena sospendibile con quella della pena sostituibile, ai sensi della l. n. 689/1981 (promettendo di rivitalizzare l’applicazione anche delle pene sostitutive) che la possibilità per il giudice della cognizione di applicare pene, diverse da quella detentiva, destinate a essere eseguite immediatamente, dopo la definitività della condanna, senza essere ‘sostituite’ con misure alternative da parte dei tribunali di sorveglianza, spesso a distanza di molto tempo dalla condanna stessa (come testimonia l’allarmante fenomeno dei c.d. liberi sospesi).

In particolare, con il nuovo art. 20 bis c.p. si prevedrebbero le seguenti pene sostitutive: la semilibertà sostitutiva; la detenzione domiciliare sostitutiva; il lavoro di pubblica utilità sostitutivo; la pena pecuniaria sostitutiva. In particolare, la semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva verrebbero applicate dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a quattro anni; il lavoro di pubblica utilità sostitutivo potrebbe essere applicato dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a tre anni; la pena pecuniaria sostitutiva in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a un anno.

Alcuni commentatori, sul punto, hanno opposto riserve a tale dirompente innovazione poiché – si argomenta – essendo il giudice della cognizione ad infliggere direttamente la pena sostitutiva, e non più o non solo più il magistrato di sorveglianza (sotto forma di misura alternativa), tale meccanismo potrebbe portare ad una sorta di “miopia di vedute”. Si sostiene, infatti, che, a differenza del giudice della cognizione, il magistrato di sorveglianza potrebbe valutare elementi relativi alla persona che il giudice del fatto non conosce.

Se, da un lato, il dubbio è fondato, dall’altro, ritiene lo scrivente, anche come possibile soluzione, occorrerà incaricare il giudice della cognizione di svolgere, egli stesso, già in sede di condanna, in un’ottica certamente prognostica, una più approfondita indagine sulla personalità dell’imputato, anche con la formulazione di ipotesi trattamentali dei singoli condannati.

Ad ogni modo, come è stato detto, si tratta – condivisibilmente – di una silenziosa ma potente rivoluzione copernicana portatrice di novità in grado di incidere, in via organica, sul sistema penitenziario-sanzionatorio nonché sulla stessa fisionomia del giudice penale di cognizione, il quale ultimo, come è stato detto, si troverà a dover dismettere gli abiti dello storico dovendo volgere lo sguardo al futuro delle persone giudicate. (*Avvocato, direttore Ispeg – Istituto per gli studi politici, economici e giuridici)