Scrivere dentro il carcere
20 APRILE
2019 DI MARIA TERESA CACCAVALE
·
Si riporta l'articolo pubblicato il 20 Aprile 2019 sulla rivista "Città Nuova" dedicato all'importanza dei laboratori di scrittura in carcere.
L’esperienza decennale di una docente sull'importanza di investire tempo e risorse per laboratori di scrittura dentro i luoghi di reclusione. Un ponte verso l’esterno e un percorso paziente di riabilitazione per la piena libertà.
L’esperienza decennale di una docente sull'importanza di investire tempo e risorse per laboratori di scrittura dentro i luoghi di reclusione. Un ponte verso l’esterno e un percorso paziente di riabilitazione per la piena libertà.
Il
tempo della pena diventa un tempo utile se ben utilizzato. Purtroppo ciò non sempre accade nelle carceri,
perché il più delle volte le persone sono abbandonate a se stesse e non trovano
possibilità di attivare quel percorso di riabilitazione che dovrebbe dare un
senso alla loro restrizione.
Il
carcere diventa, quindi, una prigione nella prigione, un luogo dove l’anima non
trova spazio per evolversi. Dopo tanti anni di
vita carceraria come docente di scuola superiore, ho avuto modo di osservare e
di comprendere le dinamiche che ruotano intorno all'organizzazione degli
istituti di pena e, purtroppo, ho dovuto constatare che non sempre, o meglio
raramente, si tende a considerare i detenuti come persone e non come piaga
sociale. E pertanto a prendersene cura.
Ho
anche compreso che il vero cambiamento può
avvenire solamente con una presa di coscienza delle persone, dentro
e fuori il carcere, attraverso un lavoro di sensibilizzazione. Dalla mia
osservazione delle tante attività che possono essere utili ai detenuti, una
sicuramente riveste un ruolo importante, ed è quello della scrittura.
In
tanti mi chiedevano sempre penne e quaderni come reliquie. In
tanti non sapevano scrivere bene, ma dopo alcuni percorsi di istruzione, sono
riusciti a scrivere, a comunicare con le loro famiglie. Vedevo la gioia nei loro occhi e si sentivano
orgogliosi di questo traguardo, riacquistando un po’ di quella autostima ormai
calpestata. Ecco perché oggi sono ancora più convinta che nelle carceri sono
necessari dei laboratori di scrittura permanenti, al di là dei percorsi di
istruzione istituzionali.
La
scrittura è un ponte tra chi scrive e l’esterno, per esprimere tutto il proprio mondo, e spesso i
detenuti preferiscono scrivere piuttosto che parlare, perché parlare di se è
molto difficile per loro. La scrittura assume così una
valenza terapeutica autentica, e chi legge può percepire molti
aspetti della personalità di una persona ed aiutarla in un percorso
riabilitativo. È un modo per ascoltare ciò che viene dal
profondo e che non verrebbe mai espresso. Quasi tutti i
detenuti parlano di sé e hanno un grande bisogno di essere ascoltati, perché
purtroppo gli operatori penitenziari non hanno molto tempo per ascoltare.
La
scrittura apre mondi sconosciuti e rappresenta un primo
approccio verso l’amore per la conoscenza, il sapere, tanto da
desiderare di frequentare i corsi di istruzione, soprattutto per quelle persone
che sono inizialmente refrattarie ai corsi scolastici istituzionali. Solo con
la cultura si può essere liberi veramente.
Tanti
sono i laboratori presenti oggi nelle carceri italiane, ma purtroppo lasciati alla scuola o al volontariato,
in modo saltuario od occasionale. È necessario, invece, istituzionalizzare
questa attività. O attraverso le scuole, quale attività integrativa permanente,
o attraverso associazioni che stabilmente si prendono cura di attivare e
gestire i Laboratori di scrittura.
L’Autrice è ambasciatrice
Epale/Indire (Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca
Educativa) ente di ricerca del Ministero dell’Istruzione
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