Riprende il teatro di Fabio Cavalli nel carcere di Rebibbia n.c.
Oltre le immagini di Santa Maria Capua Vetere
a cura di Maria Sole Lupi
Vale la pena spostare per qualche minuto l’attenzione dagli ultimi indecorosi fatti di cronaca che coinvolgono il mondo penitenziario. Il carcere, dovremmo tutti saperlo, non è soltanto quello che si è visto nelle terribili immagini riprese dalle telecamere di video-sorveglianza interne all’istituto di Santa Maria Capua Vetere, ma è molto di più e molto altro sia in termini di criticità e di fragilità sociali che lo abitano e sia in termini di valide opportunità di riscatto sociale che anche la detenzione spesso può offrire.
La “spettacolarizzazione del male” che è stata offerta dai mass media in queste ultime settimane riduce al minimo lo sforzo e l’umanità che ogni persona, sia essa volontaria o professionista dipendente dell’amministrazione penitenziaria, attua ogni giorno al fine del trattamento rieducativo della pena. Sebbene non si possa in alcun modo sottovalutare la situazione e omettere dal dire che quella sia stata realmente tortura – sulla quale gravitano le norme internazionali, l’Art.27 della Costituzione italiana nonché la fattispecie di reato di tortura all’Art. 613 bis del codice penale – tuttavia, è doveroso anche riconoscere quanta poca attenzione viene offerta dai mass media comuni (TV, stampa e social media) a tutte le “buone prassi” di vita penitenziaria nel panorama carcerario italiano e che hanno il volto della dignità e degli alti intenti verso la risocializzazione del condannato.
Una di queste a rimanere sovente fuori dall’esposizione mediatica (tranne importanti rari casi) sono senz’altro i percorsi teatrali che vengono portati avanti con più o meno assiduità all’interno delle carceri italiane dagli anni ’80 del Novecento. Il teatro in carcere, negli ultimi anni, sta diventando sempre più il minimo comun denominatore dell’attività trattamentale dell’esecuzione penale, forti sia del riconoscimento a livello istituzionale (si veda la circolare DAP sulle attività trattamentali) ed anche di un coordinamento nazionale decennale[i].
Venerdì, 2 luglio 2021, alla lezione che si è tenuta al carcere di Rebibbia n.c sul tema “Cultura e Carcere” nell’ VIII edizione del Master “Diritto Penitenziario e Costituzione” dell’Università degli studi Roma Tre, il professore e regista teatrale Fabio Cavalli ha parlato di teatro in carcere come un “teatro etico”, molto più vicino alla tragedia greca che alla commedia e che trae origine dagli scritti di Platone e di Aristotele al riguardo. Le storie dei miti greci, raccontate attraverso il teatro, sono le storie delle grandi imprese ma anche delle fragilità umane, storie nelle quali molti si rispecchiano. In tal modo, si comprende meglio l’animo umano e purtroppo anche i due lati di una stessa medaglia: il bene ed il male. Anche nell’era contemporanea, come nell’epoca delle antiche polis, lo spettacolo continua a mantenere la sua “funzione catartica” che nell’uomo induce l’elusione dalla realtà quotidiana, la trasposizione delle proprie vicende di vita nell’eroe e l’immedesimazione con il personaggio e, infine, la purificazione e il rasserenamento. Il potente strumento della catarsi che è proprio dell’attività teatrale, dunque, può accompagnare l’attore detenuto nel suo percorso di rivisitazione della propria esistenza, del proprio essere e dell’accettazione delle proprie fragilità, e conseguentemente alla risocializzazione, di fuoriuscita dal reato e di reinserimento nella società. Le stime riportate dal professor Cavalli, confermate anche dall’osservatorio di Antigone[ii], sull’impatto che le attività culturali, e quindi anche il teatro, hanno nell’abbattimento della recidiva (drasticamente ridotta al 30%) ne sono una chiara prova. In sintesi, si può sostenere che un detenuto che abbia svolto attività culturali in carcere rischia 5 o 6 volte meno di tornarci rispetto al detenuto che non l’abbia svolte. È dunque chiara l’estrema importanza delle attività culturali per il recupero del reo nel suo processo di responsabilizzazione nei confronti del reato. È fuori d’ogni dubbio la finalità didattico-pedagogica del teatro che incide sull’ alta levatura culturale della persona detenuta.
Nel pomeriggio di venerdì 2 luglio 2021, nell’Auditorium del Carcere di Rebibbia n.c, si è tenuta la prima prova generale dello spettacolo “Dalla città dolente – colpa, pena e liberazione nelle visioni dell’inferno di Dante” messo in scena dalla compagnia del professore e regista Fabio Cavalli. Una compagnia formata da una ventina di detenuti-attori del Reparto G-12 A.S. che ha già ottenuto numerosi successi nazionali e internazionali anche nella cinematografia (Premio MigrArti alla 73° Mostra del Cinema di Venezia al docu-film Naufragio con spettatore[iii] e vincitori della 62° Edizione del Festival del Cinema di Berlino per il film Cesare deve morire di Paolo e Vittorio Taviani)[iv].
Si è trattato davvero di un evento unico nel suo genere in cui oltre alla straordinaria bravura degli attori si poteva apprezzare la loro umanità, umiltà e desiderio di riscatto aldilà di ogni singola storia, cultura e provenienza geografica. Tanto apprezzata l’emozione degli attori e anche di tutti i presenti, comprese le autorità (il Rettore di Roma Tre Luca Pietromarchi, il garante regionale dei detenuti della Regione Lazio Stefano Anastasia, il Provveditore di Lazio Abruzzo Molise Carmelo Cantone e la Comandante della Polizia Penitenziaria di Rebibbia n.c Alessia Forte), per essere tornati in teatro dopo un anno e mezzo di chiusura delle porte al pubblico. Dulcis in fundo dell’opera la sorpresa finale resa dall’attore detenuto (il più anziano e tra i più bravi della compagnia), il quale ha condiviso con la platea la sua gioia ed emozione per l’ottenimento del primo permesso di cinque giorni a casa con la sua famiglia dopo 20 anni di ininterrotta reclusione. È stato il compimento di una speranza maturata di anno in anno e che si leggeva negli occhi e nei volti di tutto il resto della compagnia, anche loro in attesa del rilascio dei permessi. Rimane impresso, dunque, il ricordo di uno spettacolo teatrale singolare. Noi di Happy Bridge, ci auguriamo che tutte le attività culturali, tra le quali il teatro ovviamente, abbiano sempre più diffusione all’interno delle carceri così come previsto dall’Ordinamento Penitenziario all’Art.15 comma 1 tra gli elementi del trattamento: «Il trattamento del condannato e dell'internato è svolto avvalendosi principalmente dell'istruzione, della formazione professionale, del lavoro, della partecipazione a progetti di pubblica utilità, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno e i rapporti con la famiglia »[v].
Maria Sole Lupi
Nessun commento:
Posta un commento
Grazie per aver inserito questo commento