venerdì 3 settembre 2021

LA QUESTIONE RELATIVA AL DIRITTO ALL'INTIMITA'-SESSUALITA' INTRAMURARIA - Maria Sole Lupi

 

La questione relativa al diritto all’intimità-sessualità intramuraria


 

Articolo a cura di  Maria Sole Lupi

Il diritto all’intimità-sessualità intramuraria è da considerarsi parte dei “diritti sommersi” della persona detenuta in virtù del «corretto bilanciamento tra la garanzia del diritto e le esigenze di sicurezza connaturate allo stato detentivo»[1].Tuttavia, dietro il richiamo all’esigenza securitaria si cela un enorme paradosso che vede, infatti, il diritto all’affettività essere riconosciuto dalla norma all’interno dell’Ordinamento Penitenziario.

 


Dopo circa un trentennio di paralisi normativa, l’Ordinamento Penitenziario ha recepito mediante la Riforma n. 354 del 1975 la rilevanza attribuita dalla Carta costituzionale al nucleo familiare espressa agli artt. 29, 30 primo comma e 31 Cost.[2]. Il mantenimento del rapporto familiare del ristretto è stato inserito all’interno del contatto con la comunità esterna, quale elemento essenziale del trattamento rieducativo[3]. Ne fa chiara esplicitazione di tale finalità del legislatore l’art. 15 comma 1 O.p : «Il trattamento è svolto (…) agevolando opportuni contatti con il mondo esterno e i rapporti con la famiglia». Il legislatore non si è soltanto fermato nel manifestare la funzione di salvaguardia di tale diritto ma sembra anche di voler attribuire all’amministrazione penitenziaria un ruolo attivo nell’opera di garanzia della dimensione affettiva del ristretto. Infatti, l’Ordinamento Penitenziario del 1975 prevede all’ Art. 28: «Particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie». 

Le modalità con le quali l’ordinamento provvede alla garanzia di tale diritto è tuttavia oggetto di accesa discussione. La legge n. 123 del 2018, sebbene abbia ampliato i criteri qualitativi dell’accesso ai colloqui inserendo all’Art. 18 o.p al comma 2.: «I locali destinati ai colloqui con i familiari favoriscono, ove possibile, una dimensione riservata del colloquio e sono collocati preferibilmente in prossimità dell’ingresso dell’istituto. Particolare cura è dedicata ai colloqui con i minori di anni quattordici»[4], tuttavia, rimane inalterata la vecchia disposizione prevista allo stesso comma: «I colloqui si svolgono in appositi locali sotto il controllo a vista e non auditivo del personale di custodia»[5]. È opportuno qui fare una considerazione di merito.  Se da un lato il legislatore del 2018 ha voluto estendere le maglie nella concessione di spazi per il contatto affettivo più intimo della persona detenuta con i familiari, in particolare con i figli. Dall’altro, ancora una volta nel nome del bilanciamento con l’esigenza di sicurezza, ne ha limitato attraverso la necessità del “controllo a vista” l’effettiva espressione dell’affettività e dunque anche dell’intimità (o sessualità)[6]. Inoltre, la norma risulta imperfetta nella misura in cui non è stata chiarita dal legislatore la maniera con la quale tali spazi dell’affettività, da collocare in prossimità dell’ingresso degli istituti, possano essere adibiti per quelle strutture penitenziarie che non dispongono di spazi sufficienti sia dal punto di vista architettonico, sia per questioni di inagibilità. È chiaro che il legislatore abbia optato per celarsi dietro a delle locuzioni di forma ampliamente usate: “ove possibile” e “preferibilmente”. 

Un altro elemento di criticità è dato dal mancato riferimento della norma al coniuge, compagna o compagno della persona ristretta.  Se dunque all’art.18 comma 3: «Particolare favore viene accordato ai colloqui con i familiari», è evidente che manchi del tutto il riconoscimento al contatto intimo con il/la partner. Il diritto alla sessualità della persona detenuta è in tal modo completamente estromesso dalla norma penitenziaria italiana, nonostante il diritto ad una vita affettiva e sessuale in carcere sia garantito in molti paesi europei (in 31 stati su 47 componenti del Consiglio d’Europa) e del mondo (tra questi il Brasile)[7]. Tale silenzio normativo sulla sessualità intra-muraria si pone in contrasto con le Regole penitenziarie europee: «le modalità di esecuzione dei colloqui devono permettere ai detenuti di mantenere e sviluppare relazioni familiari il più possibile normali e, ove possibile, devono essere autorizzate visite familiari prolungate in quanto la brevità del lasso temporale può avere un effetto umiliante per entrambi i partner» (Art.24.4)[8] e con “il diritto alla vita familiare” (right to family life) espresso all’art.8 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo[9]. In Italia, tuttavia, non sono mancate le formulazioni di proposte per il riconoscimento del diritto alla sessualità in carcere. La più recente è in occasione dei “Tavoli di Lavoro”[10] degli Stati Generali sull’Esecuzione Penale presieduti dal Ministro Orlando nel 2016 con la formulazione dei così detti “colloqui intimi”. 

Il Tavolo del 2016 propose modifiche normative volte ad introdurre il nuovo istituto giuridico della “visita”, che si sarebbe distinto dal “colloquio” -già previsto dalla normativa- poiché avrebbe garantito al detenuto e alla detenuta incontri privi del controllo visivo e/o auditivo da parte del personale di sorveglianza. Pur tuttavia, il mancato inserimento della proposta all’interno del testo della Legge di Riforma dell’ordinamento penitenziario n. 123 del 2018 è stata avvertita come un’importante occasione mancata da chi vi aveva posto numerose speranze.


Maria Sole Lupi



[1] AIC (Associazione Italiana dei Costituzionalisti), Silvia Talini: “Gli articoli 18 e 30 dell’ordinamento penitenziario tra interpretazione conforme a Costituzione e possibili questioni di legittimità costituzionale”, 18 ottobre 2018.

[2] Art. 29 Cost.: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare».  Art. 30, primo comma, Cost.: «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio». Art. 31 Cost.: «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo». costituzione.pdf (senato.it)

[3] Art.1 comma 6 O.P : «Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi».

[6] Sul tema mediante l’ord. n. 129/2012 il Tribunale di sorveglianza di Firenze ha fatto ricorso alla Corte costituzionale chiedendo al giudice a quo di dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 18, comma 2, o.p. nella parte in cui imponendo il controllo a vista del personale di custodia sui colloqui impedisce la garanzia del diritto alla sessualità intramuraria. Tuttavia, la Corte ha dichiarato la questione inammissibile.

[8] Raccomandazione Rec(2006)2 del Comitato dei ministri del consiglio d’Europa sulle Norme penitenziarie europee.

[9] Right to Family Life, European Convention on Human Rights https://www.echr.coe.int/Documents/Guide_Art_8_ENG.pdf

[10] Tavolo 6 - Mondo degli affetti e territorializzazione della pena, coordinato dalla deputata Rita Bernardini, informazioni estratte dal sito ufficiale del Ministero di Giustizia. https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_19_1_6.page?previsiousPage=mg_2_19_1

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